Menu Serie ASerie BSerie CCalcio EsteroFormazioniCalendariScommessePronostici
Eventi LiveCalciomercato H24MobileNetworkRedazioneContatti
Canali Serie A atalantabolognacagliaricomoempolifiorentinagenoahellas veronainterjuventuslazioleccemilanmonzanapoliparmaromatorinoudinesevenezia
Canali altre squadre ascoliavellinobaribeneventobresciacasertanacesenafrosinonelatinalivornonocerinapalermoperugiapescarapordenonepotenzaregginasalernitanasampdoriasassuoloturris
Altri canali euro 2024serie bserie cchampions leaguefantacalciopodcaststatistiche

Hummels: "Se non fosse arrivato l'esonero di Juric, avrei lasciato la Roma"

Hummels: "Se non fosse arrivato l'esonero di Juric, avrei lasciato la Roma"TUTTO mercato WEB
© foto di www.imagephotoagency.it
Oggi alle 17:23Serie A
di Daniel Uccellieri

La ZDF, emittente nazionale tedesca, ha realizzato un documentario dedicato all’ultimo anno di carriera di Mats Hummels. Protagonista del progetto è anche Tommi Schmitt, noto sceneggiatore e attore tedesco, che ha seguito il difensore giallorosso per diversi mesi, intervistandolo più volte e ripercorrendo insieme a lui non solo i momenti salienti della sua carriera, ma soprattutto le tappe della sua esperienza alla Roma.

Il documentario si apre con le immagini dei primi giorni di Hummels nella Capitale. All’inizio della sua avventura romana, il difensore ha vissuto in un piccolo appartamento, dormendo su una poltrona letto pieghevole. Con un sorriso autoironico, commenta così la situazione: "Questo è il mio piccolo regno di transizione. È un letto pieghevole, sì, proprio uno di quelli. Però devo dire che da quando sono qui, resta sempre aperto. Non lo chiudo mai, ormai".

Ti sei ambientato bene?
"Dipende dalla zona. In città mi sono ambientato completamente, direi che ormai mi sono fuso con tutto questo. Nella squadra mi sono ambientato bene. Intorno, invece, per esempio con la casa, ci vorrà ancora un po’ prima che sia sistemata del tutto. È ancora il mio appartamento di transizione, diciamo così. E poi il fatto che non abbia ancora giocato… ovviamente era stato pianificato tutto in modo un po’ diverso".

La città è stata uno dei motivi per scegliere Roma?
"Sì, anche. Volevo proprio vivere in una città dove si stesse bene. E anche conoscere un’altra cultura, era qualcosa che trovavo molto interessante. Non avevo mai vissuto all’estero in vita mia. È qualcosa di diverso"

Come si fa a mantenersi in forma in una città come questa?
"Eh, all’inizio sono salito un po’ di peso, come succede nelle prime settimane. Subito subito. Sono andato a mangiare fuori, ho ordinato un piatto di pasta. Poi sono così gentili e ti dicono: “Dai, prova anche questo”. E il pane. E un altro piatto di pasta, diverso. E poi una piccola porzione da assaggiare, e infine un dolce. E io: “No, dai…” e loro: “Ti faccio mezza porzione di tiramisù”. E purtroppo qui è tutto buono. Poi è arrivato il momento in cui mi sono pesato e ho visto tre cifre per la seconda volta in vita mia. E lì ho detto: “Ok, così non si può andare avanti». Ora devo tornare in forma”.

Non volevi più giocare contro il Borussia Dortmund?
"Beh, giocare ancora contro il Dortmund in Champions può succedere. Ma avevo già fatto il passaggio da Dortmund al Bayern, che è stato già abbastanza controverso, e alla fine avevo la sensazione che fossimo tornati davvero uniti. Quindi pensare di giocare ancora in Bundesliga con un’altra maglia… non ne avevo voglia, devo essere sincero. Sembrava proprio sbagliato".

Passa del tempo e l’intervista riprende il 13 dicembre 2024 in una piovosa Roma, dopo il periodo trascorso con Ivan Juric e l’arrivo di Claudio Ranieri: "Onestamente non pensavo che ci saremmo rivisti qui".

No, nemmeno noi lo avevamo previsto. Ma davvero ci avevi pensato? Avevi già le valigie pronte?
"Se Juric non fosse stato esonerato dopo la partita contro il Bologna, probabilmente la settimana successiva me ne sarei andato, sì. Sì, credo proprio di sì. Avrei lasciato perdere. Preferisco giocare male piuttosto che non giocare affatto. Essere spinto nell’insignificanza da Juric… è stato brutale. Mi ha davvero buttato giù. Non è stato facile affrontarlo".

Hai avuto anche paura, a tratti? Tipo: “Sta davvero andando in una direzione che potrebbe diventare un capitolo strano della mia vita?
"Sì, mi era chiaro che se non fosse arrivato un cambio in panchina, sarei dovuto andare via, perché altrimenti sarei esploso prima o poi. Cerco di gestirla in modo professionale, non dico nulla pubblicamente. E credo di non averlo mai fatto, nemmeno nei momenti in cui non giocavo. Ma dentro, ovviamente, ribolle tutto. Cioè, proprio al punto da fare delle brutte partite anche quando finalmente giochi qualche minuto. Devo accettarlo così com’è adesso, ma dentro di me penso anche: “Ehi, non me lo meritavo”. Quello che mi ha infastidito è stato che, in una conferenza stampa, credo abbia detto qualcosa tipo: “Non guardo ai curriculum o a ciò che uno ha raggiunto”. Ma il mio pensiero era: “non stiamo giocando bene, la situazione non è buona, non otteniamo risultati”. Come ti viene in mente di non provare almeno a farmi giocare? Cioè, se vinciamo ogni partita, anche senza giocare bene, se tutto funziona, se vinciamo sempre e facciamo spesso clean sheet, allora lo capisco. In quel caso, mi metto anche io lì e penso: “sì, lo farei anch’io da allenatore”. Ma io ero lì a pensare: “lo sai che so difendere, che so come funziona il calcio. Fammi almeno scendere in campo e dammi una possibilità”. Sì, alla fine me l’ha data, una sola volta".

Hai avuto un’altra occasione, ed è stata a Firenze, e poi dopo quattro minuti hai fatto quell’autogol. Com’è andata dopo? Sei stato distrutto, oppure hai pensato: “Tanto peggio di così non può andare”?
"Onestamente, mentalmente non ero affatto pronto per giocare. Proprio per niente. Quando sono entrato in campo, ho avuto una sensazione completamente estranea. Primo colpo di testa spazzato, secondo colpo di testa nella mia porta, e lì mi sono detto: “Forse non deve andare”".

E il giorno dopo sei volato a Parigi per la cerimonia del Pallone d’Oro. C’era teoricamente la possibilità che venissi premiato come uno dei migliori giocatori del mondo? È assurdo…
"Sì, teoricamente, sì. È stato davvero strano andare lì. Mi sentivo un po’ fuori posto, capisci? Tipo: “Non conti niente, sei irrilevante”. È stato davvero surreale, devo dire. Quel contrasto totale, sì".

Con l’arrivo di Ranieri c’è stata subito un’altra forma di pressione, perché pensi: «Ok, ora ho questa figura paterna che mi dice “mi fido di te”» e allora ti dici: «Adesso devo anche dimostrarlo», è proprio un mindset completamente diverso da portare in campo.
"La pressione era: “Se adesso non rendo, allora si dirà: tre allenatori non mi hanno fatto giocare, il problema deve essere lui”. E lì ho pensato: “Ok, se ora non rendo, allora ho fallito”.

L’intervista prosegue poi dopo la partita contro il Tottenham, in cui Hummels ha prima causato il rigore del vantaggio londinese e poi firmato il gol del definitivo 2-2.

Si vede, emani più luce. Si percepisce proprio che è diverso rispetto all’ultima volta. Ora hai un’energia positiva
"Sì, lo credo anch’io, assolutamente. In ogni senso, è tutto semplicemente più semplice".

Quanto sono importanti gli allenatori? Hai avuto tantissimi allenatori nella tua carriera. Quanto contano davvero?
"Beh, sono la cosa più importante in assoluto. Non importa quanto sia forte una squadra, se l’allenatore non è quello giusto, la squadra rende molto al di sotto del suo potenziale. Io ho avuto la fortuna di avere allenatori molto bravi già all’inizio. Avevo Hermann Gerland al Bayern Amateurs, che ha puntato completamente su di me. Poi anche Magath, che già allora aveva un certo interesse per me. E poi ho avuto una fortuna immensa con Klopp. Avere un allenatore così in un momento chiave della carriera è semplicemente perfetto. Voglio dire, immagina se avessi avuto, non so, uno come Ivan Juric, per esempio, a vent’anni, che non si adatta affatto al mio stile di gioco – anche se all’epoca ero ancora un po’ più veloce – e che non punta su di te, ti lascia fuori… allora la carriera può prendere una piega completamente diversa. Posso anche dire: “non gioco per sei mesi, vado in prestito da qualche parte”, non funziona. E all’improvviso tutto prende un’altra direzione. Quindi avere l’allenatore giusto al momento giusto è davvero oro colato, bisogna dirlo"

Schmitt e Hummels si rivedono poi a cena a Roma dopo il match di Europa League contro il Porto.

Abbiamo parlato un po’ di volte di come ti immaginavi tutto questo. Non stai ancora contando i giorni alla fine della carriera?
"No, io gioco ancora a calcio, mi diverto. E se la mia vita attorno me lo permettesse, probabilmente continuerei anche a giocare".

Cosa intendi, la tua vita privata?
"La mia vita privata, sì. Ma sono sacrifici che non voglio più fare, tipo per quanto riguarda gli amici e, soprattutto, mio figlio. Non voglio più essere responsabile di vederlo così poco. Non voglio più fare quel tipo di rinuncia".

Ma potresti anche rientrare nello sport. Diventare allenatore, per esempio…
"Sì, ma io parlo proprio del vuoto di non giocare più. Quello mi pesa".

E a livello mentale non hai ancora nessun piano? Potresti diventare come Didi Hamann e sederti a Sky. Oppure come Oguzhan Mola e lavorare per Amazon. Oppure fare come Robert Huth e semplicemente sparire. Dov’è finito, tra l’altro?
"Ero curioso di vedere cosa avresti detto ora".

Appunto! Stavo cercando un giocatore che è proprio scomparso. Oppure potresti fare come Mertesacker e diventare responsabile del settore giovanile in un top club come l’Arsenal. O fare come Kahn e buttarti nel business.
"La prima cosa che succederà, penso, sarà qualcosa di piccolo, inizialmente in forma ridotta. Forse qualcosa da esperto, diciamo, in ambito calcistico".

Parlando di calcio? Ma non giocando?
"Esatto. Per scherzo. Ma in realtà credo di poter fare anche altre cose".

Passa ancora del tempo e si arriva al 2 aprile 2025, quando Schmitt e Hummels si incontrano a Trigoria dopo Athletic Club-Roma, in cui Hummels ha di fatto compromesso la sfida con l’espulsione nei primi minuti.

L’errore a Bilbao. Com’è stato per te, nonostante tutta la tua esperienza, commettere un errore del genere in quello che potrebbe essere stato il tuo ultimo match nelle coppe europee?
"Mi ha fatto davvero male, il fatto di aver tolto alla squadra e ai tifosi – a prescindere dall’eliminazione – ma anche a me stesso, la possibilità di vincere un altro titolo internazionale. E questo fa male, ovviamente. Ma il pensiero che hai appena detto, cioè che potesse essere l’ultima partita europea della mia carriera, mi ha accompagnato per tutto il giorno prima della gara. Prima del fischio d’inizio. Già prima della partita mi sentivo bloccato. Credo di non essermi mai sentito così male in campo in tutta la mia vita, come in quei dieci minuti – purtroppo solo dieci – a Bilbao. Le gambe mi sembravano pesantissime. Non avevo lucidità, davvero. Mi sentivo malissimo. E proprio da lì è nato l’errore. Ricordo che ho ricevuto il pallone e inizialmente volevo lanciarlo lungo. Poi ho pensato: “No, in questo momento non ho assolutamente il tocco giusto per farlo”. Meglio tenerla semplice, mantenere il possesso. Eravamo già stati costretti a rincorrere tanto. Guardo a destra, voglio passarla a Mancini, vedo l’attaccante del Bilbao e mi ricordo perfettamente che nella mia testa penso: “È troppo rischioso. Troppo rischioso, meglio di no”. E all’improvviso il pallone era già partito. Era già in viaggio. Non lo so nemmeno io. Mi ha dato fastidio il fatto di non essere riuscito a portarmi mentalmente in un altro stato, in un altro “schema”, per così dire. Che tutta la mia giornata fosse condizionata da quel pensiero: “Forse oggi è l’ultima partita internazionale della mia carriera”. Preferisco perdere un duello in velocità contro un ventiduenne che corre a 36 km/h. Ok. O anche a 33 km/h, che ormai basta comunque per perdere un duello. Ma non così. Non in quel modo".

È stato un continuo su e giù, sia per il club che per te personalmente. Ma adesso inizia davvero a farsi sentire un po’ di malinconia?
"Sì, ma soprattutto perché so che questa è la mia ultima stagione. Adesso so che mi restano solo otto partite. Teoricamente, potremmo ancora puntare alla qualificazione in Champions League, ed è proprio quello che voglio. Voglio che la squadra ci arrivi – che giochi la Champions – non importa se io sarò in campo oppure no. È semplicemente il mio desiderio: voglio che i ragazzi con cui ho vissuto quest’anno siano in Champions l’anno prossimo. So di aver dato anch’io il mio contributo. E per me, ma anche per la squadra, sarebbe bello avere la sensazione che il tempo passato insieme sia servito a qualcosa di positivo. Questo lo vorrei davvero tanto".

Hai già deciso che non giocherai più a calcio la prossima stagione?
«Al 100% non si può mai escludere nulla, ma è estremamente improbabile, davvero estremamente. Se lo facessi ancora una volta, non inizierei di nuovo a settembre. Dovrei ricominciare a luglio, e non avrò assolutamente voglia di allenarmi di nuovo a luglio, assolutamente no. E già questo, di per sé, lo esclude. In più, servirebbe qualcosa per cui io abbia una passione così folle da essere disposto a fare di nuovo quel sacrificio nella vita privata – soprattutto vedere poco mio figlio. E questa cosa, al momento, non la vedo. L’unica, nella mia sfera emotiva, per cui potrei farlo, è il BVB. Solo per il Borussia Dortmund lo farei. E credo che non succederà. Cioè, se il Dortmund dovesse chiamare… allora ci penserei seriamente, sì. Perché chiudere la carriera da giocatore del BVB, con ancora un anno, sarebbe una cosa che ho in testa. Ma posso dirlo sinceramente: questo discorso l’ho già affrontato la settimana scorsa. E non credo che succederà".

L’ultimo appuntamento tra Schmitt e Hummels è nel tunnel dello Stadio Olimpico dopo Roma-Milan: i giallorossi hanno vinto 3-1 e sono ancora in corsa per un posto in Champions League. Hummels è stato premiato prima della gara, ma non è poi sceso in campo.

È stata l’ultima partita in casa della tua carriera.
"Sì".

Che sensazione ti ha dato?
"Beh, alla fine è stato strano, soprattutto perché non ho giocato neanche un minuto, e in una situazione in cui magari un’occasione ci sarebbe anche potuta essere, diciamo così. Fa un po’ male. Devo ammetterlo. Fosse successo in una delle altre cinque partite precedenti, non avrei detto nulla. Ma oggi, credo che la dimensione di quello che rappresentava questo momento – e anche quello che avrebbe potuto significare per me – lui, credo, lo avesse capito".

Il pensiero di essere una leggenda ha avuto il sopravvento, o prevalgono la frustrazione e il dispiacere per non aver giocato oggi?
"Oggi è un mix di tutto. C’è stato un saluto con la famiglia, gli amici, tutte le persone che erano lì. E anche il fatto che abbiamo fatto questo passo importante, e forse adesso abbiamo davvero una possibilità concreta di qualificarci per la Champions League alla prossima giornata. È una giornata molto altalenante. Perché ci sono emozioni belle, ma anche un po’ di tristezza, perché è finita. Oggi è stata una delusione, perché non sono proprio entrato in campo, ma sì, è tutto molto altalenante".

Qual è la tua sensazione riguardo a tutta questa esperienza? È comunque qualcosa di bellissimo, anche per via della città, delle persone, dell’esperienza all’estero?
"L’esperienza personale è stata molto interessante, ed è proprio per questo che l’ho fatta. Certo, volevo anche avere successo sportivo, volevo fare il meglio possibile e, nel migliore dei casi, magari vincere qualcosa. Poi, ovviamente, soprattutto la mia prestazione personale dopo l’inizio è stata complicata. In realtà, sono molto soddisfatto soprattutto delle partite giocate in Serie A e delle quattro partite di Europa League prima di Bilbao. Ma quella partita contro il Bilbao rovina un po’ l’impressione generale. Quindi va bene così, ma non è stato, diciamo, un finale da sogno". Lo riporta Vocegiallorossa.it.

Primo piano
TMW Radio Sport
Serie A
Serie B
Serie C
Calcio femminile