Se non puoi vincere, palla a Matteo Darmian. E l'Inter accarezza lo scudetto

Pioggia a tratti forte, l'estate che saluta, dall'auto scende Matteo Darmian. Promesso nerazzurro da troppo tempo, così tanto che l'operazione devi portarla a termine perché altrimenti senza quasi uno scherzo. Sorride nonostante la desolazione che lo circonda, nessuna foto, nessun coro, niente di niente. Ma lui sì, sorride, lascia andare un convinto forza Inter sotto la mascherina. Antonio Conte lo ha chiesto espressamente alla dirigenza che, appunto, gli ruotava attorno da parecchio. Il comandante lo vuole nella sua squadra perché sa che può tornare utile per molte cose: è buono da terzo di difesa, ottimo da quinto di centrocampo votato alla doppia fase, uno di quelli che non serve richiamare ogni dieci minuti perché tenga la posizione. Un ragazzo serio, un professionista indiscutibile, uno che nello spogliatoio sa sempre come farsi voler bene. Gli elementi che servono ci sono tutti.
Ma c'è di più: Darmian parte titolare, poi perde posizioni nella testa dell'allenatore senza tuttavia perdere mai importanza, fa il vice di quel mostro di Hakimi, lotta anche a sinistra per scavalcare Perisic e Young. All'alba di dicembre un suo gol aiuta l'Inter a mantenere le speranze per il passaggio delle eliminatorie di Champions League (uscirà con l'ultimo posto finale). A febbraio infila il Genoa per il primo gol in Serie A da interista. Ad aprile, in due settimane, flirtando con l'ex turbo del Dortmund, è due volte decisivo contro il Cagliari e, da subentrato, contro il Verona. Voglio conquistarmi un posto nel cuore dei tifosi, aveva detto Matteo Darmian. Ci è riuscito a pieno: aveva un valore speciale per Conte, ne ha uno ancora più speciale per il popolo interista. Un pezzo di scudetto porterà piacevolmente il suo nome.
