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Speciale MLS - Gli yankee fanno sul serio. Guida al calcio USA: un altro modello è possibile

Speciale MLS - Gli yankee fanno sul serio. Guida al calcio USA: un altro modello è possibileTUTTO mercato WEB
© foto di Daniele Buffa/Image Sport
sabato 27 marzo 2021, 12:00Serie A
di Ivan Cardia
Le nuove proprietà americane, l’avvento dei big data e l’arrivo dei nuovi talenti. L’America scopre il calcio, il calcio scopre l’America: TMW racconta il soccer e la MLS.

Il calcio made in USA è diventato una cosa seria, anche nella sua versione maschile. Il soccer, come chiamano negli Stati Uniti il gioco più bello del mondo, oltreoceano ha già profonde radici tra le donne: basti pensare che da quando esiste il mondiale femminile, cioè dal 1991, la nazionale femminile lo ha vinto in quattro occasione e i peggiori piazzamenti sono rappresentati tre terzi posti. La novità degli ultimi anni è che anche i maschi americani hanno iniziato a fare sul serio e puntano, come in tutti gli altri sport, ad arrivare al vertice.

Arriva la MLS. La stagione 2021 sarà la ventiseiesima edizione della Major League Soccer: a partecipare vi sarà anche Austin FC, franchigia texana che porterà il numero delle squadre in corsa a 27. Suddivise, come accade nella NBA e nelle altre grandi leghe statunitensi, in due conference (Eastern e Western). È un campionato in costante escalation, anno dopo anno, e traina lo sviluppo dell’intero movimento calcistico. Giocatori come gli statunitensi Cristian Pulisic, Weston McKennie e Sergiño Dest o il canadese Alphonso Davies sono stelle anche in Europa: dimostrano come il calcio nordamericano stia finalmente iniziando a produrre talenti di alto livello, dopo anni di tentativi, nel corso dei quali i migliori exploit sono stati, anche nei casi più brillanti, giocatori medi (i vari Donovan, Dempsey, Howard). Una crescita che parte proprio dalla MLS, destinata ad ampliarsi anzitutto a livello numerico: nei progetti del commissioner, Don Garber, i club in competizione diventeranno trenta entro il 2023. A crescere sono anche gli appassionati: la finale di MLS Cup del dicembre 2020 tra Columbus e Seattle ha messo davanti agli schermi 1,07 milioni di telespettatori su ESPN e 459 mila su UniMas (network in lingua spagnola). Nel primo caso si tratta di un incremento del 30 per cento rispetto all’edizione 2019, nel secondo del “solo” 2 per cento rispetto all’anno precedente, ma del 137 per cento rispetto al 2018. Siamo lontanissimi dai numeri di altri sport (le finals dei playoff NBA 2020 sono state viste in media da 7,5 milioni di telespettatori e si tratta comunque del dato più basso negli ultimi vent’anni), ma i passi avanti sono comunque consistenti.

Quanta strada dagli anni ’90. Non è più un Paese per vecchi. Fondata nel 1993, sull’onda lunga dell’entusiasmo per il Mondiale che di lì a poco si sarebbe giocato in territorio americano, la MLS partiva dalla fallimentare esperienza della North American Soccer League (la NASL), ricreata brevemente dal 2011 al 2017 come lega di secondo livello, ma che in precedenza è stato il primo vero tentativo di esportare e professionalizzare il calcio negli USA. Fallito, da tutti i punti di vista: anzitutto economico. In un Paese ben poco innamorato del pallone, almeno di quello da calcio, e tenute in conto le differenze organizzative che vedremo in seguito, il primo approccio a un tentativo di internazionalizzazione è stato quello “classico”: strapagare campioni sul viale del tramonto per dare visibilità internazionale al prodotto. In alcuni casi ha funzionato: emblematico, su tutti, l’impatto di David Beckham, che oggi guida anche l’Inter Miami, affiliata dal 2018 e partecipante al campionato dal 2020. Oggi, però, non è più così e la MLS non è più un cimitero di ricchi elefanti. Un dato su tutti: l’età media delle squadre partecipanti al campionato 2021 sarà di 25,5 anni (dato transfermarkt). Se paragonato con quello delle Big Five, soltanto Ligue 1 e Bundesliga viaggiano sugli stessi canoni, mentre le rose di Italia, Spagna e Inghilterra hanno almeno due anni in più di età media.

Il format e i trofei in palio. La regular season inizierà il 17 aprile e si concluderà il 7 novembre; dal 19 dello steso mese all’11 dicembre si disputeranno poi i playoff. Nella prima fase, le 27 squadre sono suddivise in conference: la Eastern, formata da 14 partecipanti, e la Western, da 13. Nell’ambito dei due raggruppamenti, le squadre si sfidano con un meccanismo alquanto complesso (dettato anche dalla pandemia), nel quale non tutte giocano lo stesso numero di volte contro tutte e sono presenti anche (pochi) incroci tra le due conference; al termine della regular season, la franchigia che ha ottenuto più punti in assoluto alza il Supporters’ Shield, il primo trofeo in ordine temporale. Il piazzamento in classifica determina poi le fasi successive: le due squadre vincitrici delle rispettive conference approdano direttamente alle semifinali dei rispettivi playoff, mentre quelle piazzate dal secondo al settimo posto partono dal primo round. Al termine delle finals, le due squadre vincitrici dei rispettivi playoff si sfidano per la MLS Cup, in sostanza il trofeo per la vincitrice della MLS. In parallelo al campionato, si svolge la coppa nazionale, la Lamar Hunt U.S. Open Cup, che coinvolge tanto le formazioni di MLS quanto quelle della United Soccer League, la lega che organizza i campionati minori, dilettantistici e giovanili nordamericani. Come in tutti gli sport di squadra USA, giova ricordare che non sono previste promozioni o retrocessioni. Il piazzamento in classifica durante la stagione regolare determina infine la qualificazione alle competizioni continentali: nello specifico, le vincitrici del Supporters’ Shield e dell’altra conference, nonché quella della MLS Cup e della Lamar Hunt Open Cup partecipano alla CONCAF Champions League, che coinvolge le migliori squadre del Nord e Centro America. Le classificate dal secondo al quinto posto delle due conference (o a scalare, nel caso si tratti di squadre già qualificate alla Champions) prendono invece parte alla successiva Leagues Cup, che coinvolge le formazioni dei massimi campionati statunitense e messicano.

Un altro modello: il single entity. Snocciolati gli elementi essenziali del format, plasmato sullo schema delle grandi leghe nordamericane e al quale guardano inevitabilmente i fautori della Superlega di casa nostra, la principale differenza, spesso sottaciuta, del calcio statunitense sta nel single entity franchise system. La MLS è, appunto, un’entità unica. Un soggetto privato, in un certo senso sovra-ordinato alle federazioni nazionali (quella USA e quella canadese: entrambe infatti decidono ben poco) e che è “proprietaria” di tutto: le squadre, i calciatori, gli staff. Tutti i contratti sono stipulati direttamente con la lega, che detiene i diritti anche delle singole franchigie: i loro “proprietari” non sono veramente tali, ma piuttosto dei gestori che operano per conto della MLS e hanno il diritto a guidare le rispettive squadre. Al contempo, sono anche azionisti della lega, da cui ricevono dividendi. È un modello ben lontano da quello tradizionale europeo, e anche dal sistema delle TPO. Una struttura che, anche negli USA, ha sollevato più di un dubbio relativo alla sostanziale assenza di concorrenza, tant’è che sul tema si è dovuta esprimere persino la Corte Suprema (il caso Fraser v. Major League Soccer del 2002), arrivando a stabilire che proprio perché single entity la MLS non frenasse una concorrenza che non poteva esistere. I benefici maggiori, per i sostenitori, risiedono piuttosto nel consentire un maggiore controllo dei costi, ma soprattutto nel garantire sostenibilità e competitività. Essendo tutti i club in affari tra loro, nessuno ha davvero interesse ad “ammazzare il campionato” sul lungo periodo, perché il sistema cresce soltanto se le franchigie crescono tutte insieme. Di conseguenza, anno dopo anno tutti possono battere tutti. Anzi, tutti devono essere messi in condizione di poter battere tutti. Non a caso, dalla fondazione a oggi è successo soltanto tre volte che una squadra vincesse per due anni di fila la MLS Cup.

Salary cap, designated player e draft. Le altre regole sono così un corollario di un’impostazione generale che tende a non privilegiare nessuno, e viceversa a mettere tutti davvero sullo stesso piano, almeno in partenza. Prima fra tutte, il salary cap, del quale s’inizia a parlare anche in Europa e per esempio in Spagna ha trovato una prima applicazione. Le rose (o meglio i roster) delle formazioni MLS sono composte di un massimo di 30 giocatori, a loro volta suddivisi nel senior roster o nel supplementari roster. Di quest’ultimo fanno parte fino a un massimo di dieci giocatori a stipendio minimo o formati in casa (gli homegrown players). I senior, invece, occupano fino a 20 slot per ciascuna squadra e vanno a comporre il salary budget, il tetto salariale che è attualmente fissato in un massimo di 4,9 milioni di dollari a stagione. A questo meccanismo è stata introdotta a partire dal 2007 (per consentire l’ingaggio di David Beckham da parte dei LA Galaxy) una sostanziale deroga, la cosiddetta Designated Player Rule: oggi consente l’ingaggio fino a un massimo di tre calciatori al di fuori del salary cap, dei quali si assume responsabilità la franchigia di appartenenza. A queste regole, e a quelle che consentono canali prioritari ai calciatori formati in casa, si va ad aggiungere il Superdraft per la “pesca” dai college, infinito serbatoio di talento: un processo già noto anche in Italia dagli appassionati di NBA, del quale vi parleremo in un successivo approfondimento. Il quadro, completato dai numerosi investimenti fatti dalla MLS sui settori giovanili negli ultimi anni, è così quasi completo. È un modello radicalmente diverso, che privilegia la sostenibilità e la competitività complessiva, a discapito della libertà per chi vuole spendere cifre superiori alla concorrenza e anche a costo di indebitarsi. È un modello che piace? I giovani talenti dicono che funziona. E la previsione è che per il 2026, anno del Mondiale nordamericano, la nazionale USA possa essere davvero competitiva. La prossima domanda è se piacerà alle TV: nel 2015, la MLS ha sottoscritto con ESPN, Fox Sports e Univision un contratto da appena 90 milioni di euro all’anno. Scade nel 2022 e l’obiettivo è un deciso rialzo da questo punto di vista. Sarà il mercato a dire la sua.

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