Vietato attaccare Retegui per la scelta milionaria saudita. Ma per il professionista è una decisione folle l'Al-Qadisiyah nell'anno Mondiale: Gattuso farà bene a pensare alle alternative

Vale per Mateo Retegui come sarebbe valso per Moise Kean. Andare in Arabia Saudita a ventisei anni nell'anno del Mondiale, neanche a una delle tre-quattro grandi del campionato ma all'Al-Qadisiyah, è una follia sportiva e di carriera. Fare i conti in tasca ai calciatori seppur milionari è però un esercizio demagogico, populista e dunque sbagliato. Alzi la mano chi da una cifra di poco inferiore ai 2 milioni di euro all'anno, e per favore chi legge queste righe esca dalla retorica ma contestualizzi tutto al milionario mondo del pallone, avrebbe detto di no a un'offerta dieci volte superiore. Lo avreste fatto? Bravi. Avreste accettato? Bravi, comunque. Ogni scelta è legittima, se consideriamo l'uomo Mateo, o l'uomo Moise.
Sulla costa, nel deserto
C'è però il lato del professionista che da cronisti, da analisti, non possiamo non considerare. E valutare. Chi ha portato in Arabia Saudita la punta della Nazionale, sa bene che a livello economico era un'occasione per tutti irripetibile. Sa altrettanto, però, che l'Al-Qadisiyya è una squadra con poca storia e altrettanta gloria. Dove giocherà, Retegui? A Khobar, sulla costa est, una cittadina che fino agli anni trenta era una semplice località per pescatori abitata dalla tribù Dawasir, lì fuggita per evitare le persecuzioni britanniche. A un passo dal Bahrain con la speranza di tornare presto in patria, negli anni '40 è cambiato tutto: la scoperta dell'oro nero ha portato Khobar a diventare porto e ponte del petrolio verso il Bahrain. A cinquanta chilometri c'è l'aeroporto più grande (come superficie) del mondo, ci sono quasi settecentomila anime, una costa bellissima, c'è una torre che domina la città, ci sono centri commerciali, scuole, ristoranti. Ma la storia equivale a quella calcistica.
La disastrosa scelta del professionista
E questo non può non essere, per Retegui e per tutti coloro che scelgono adesso, all'estate del 2025, squadre della 'provincia' del PIF, di andare in Arabia Saudita. E dire che l'Al-Qadsiah (terza volta che lo scriviamo, tre modi diversi e tutti buoni) è di proprietà di Saudi Aramco, dunque la compagnia statale degli idrocarburi, dunque il petrolio in Arabia Saudita, dunque il polo centrale dell'economia. Ma un conto è l'Al Nassr, uno l'Al Hilal, pure a livello di visibilità (e di competitività, e di competizioni, e di attenzioni). Nell'anno del Mondiale, era la scelta più opportuna? Perché Gennaro Gattuso non può aver certo accolto con salti di gioia la scelta di Retegui di andare ai confini del Bahrain, proprio in settimane e mesi in cui l'Italia non vuole e non deve perdere il pass per la prossima competizione intercontinentale. Al netto della volontà, e dei racconti, il campionato saudita non è certo ancora all'altezza delle grandi leghe europee. Retegui abbasserà la pressione e la tensione per sei giorni a settimana, salvo alzare poi il termometro dell'impegno per i novanta minuti della partita. Reggere l'Italia, giornalmente, non è certo vivere in un mondo ricco e dorato come quello saudita. L'uomo ha fatto la sua scelta e va giustamente rispettata. Ma l'ha fatta, insieme a lui, anche il professionista. E a ventisei anni, nessuno può trovarla giusta, corretta e soprattutto all'altezza delle ambizioni che dovrebbe avere. Soprattutto nell'anno del Mondiale, con la speranza che lo sia davvero. E allora Gennaro Gattuso dovrà iniziare a far bene a pensare anche alle alternative a Retegui.
