Nuova rivoluzione in casa Juve, ma non sempre a cambiare si migliora

Appena una settimana fa sembrava che la Juventus avesse trovato la strada giusta per proseguire con minori incertezze verso il proprio futuro, tracciato comunque ancora su un sentiero ripido.
Aggrappati alla qualificazione champions, sembrava che un grosso filo di speranza potesse essere perseguito per continuare senza sterzate se non per qualche necessario rinforzo in società e altrettante aggiunte in campo.
Nulla lasciava presagire che, a conti fatti e sotto controllo, potesse configurarsi l'ennesima rivoluzione che annullava la precedente, e dopo appena due anni ne azzerava anche il tentativo a monte, quello insomma post ultimo scudetto del 2020.
Da quella data sono passati esattamente cinque anni, ma il conteggio degli uomini chiamati a migliorare le cose sono finiti fuori controllo. E ogni tentativo ha resettato il passato senza una visione globale e spesso in modo improvvisato.
Insomma non è mancata solo la juventinità, come spesso ci siamo riempiti la bocca per trovare la spiegazione più accomodante, ma quella strategia pianificata a tavolino da tutte le parti interessate e non, invece, dalle pericolose correnti interne che andavano annientate in principio.
Situazione – Si è cominciato con il valzer interno delle panchine, lasciando intendere che il problema della gestione fosse solo l'allenatore, sottovalutando invece l'effetto dell'onda lunga della separazione da un valido direttore generale.
Si è passati a Pirlo, si è richiamato Allegri, ci si è lasciati affondare sotto le polveri pesanti di scelte politiche scellerate e si è guardato appena oltre il proprio naso, fino a quando l'uomo al comando, Elkann - allora come oggi -, ha tagliato le teste in società, con l'umore nero di chi aveva l'onere di trovare quelle soluzioni delegate a qualcun altro.
Nel novembre 2022 è toccato a Agnelli, Arrivabene, Paratici, oggi a Giuntoli in leggero anticipo rispetto a Calvo, il cui annuncio aveva riportato all'attenzione le fragilità dei rapporti interni.
La mano destra aveva chiamato Thiago Motta, quella sinistra, successivamente, Tudor e intanto il progetto continuava a far acqua (quasi) da tutte le parti perché non si lavorava da squadra.
Comando – L'unico uomo con le chiavi del comando è il proprietario.
Le deleghe - e le incognite se il modello resterà identico - ora passano al nuovo direttore generale Comolli e all'operatività di Chiellini.
Poi serviranno anche un ds e un capo scouting di fiducia. Il nome dell'allenatore è ancora quello di Tudor, ma la sua delegittimazione è figlia anche dei rifiuti di Conte e Gasperini.
Il nuovo corso inizia così, con la sessione aggiuntiva di mercato in vista dei Mondiali per club e proseguirà con il torneo negli Stati Uniti. Intanto vanno liberate le scrivanie, affrontate le difficoltà e migliorati i parametri tecnici della squadra. Peccato che si debba ripartire sempre dall'anno zero e nella testa dei giocatori, come in quella dei tifosi, regni in questi casi un forte senso di impotenza e incertezza. Con tutta la buona volontà, al sesto anno, ripartire in questo modo non è da grande club.
E non abbiamo fatto accenno a quello che i tifosi non vorrebbero più sentirsi raccontare.
