Breda: "Salernitana non più in vetta? Meglio adesso che a marzo. Ora c'è tempo"
Nel corso della mattinata di TMW Radio, all'interno della trasmissione A Tutta C, è intervenuto mister Roberto Breda, con il quale è stato per prima cosa affrontata la situazione della Salernitana, che nel turno di campionato appena trascorso ha perso il primo posto in classifica, ma ha visto mister Giuseppe Raffaele tranquillizzare l'ambiente, ribadendo che i campionato non si vincono a novembre.
"È vero che i granata hanno perso il primo posto - dice Breda - ma ci sono momenti e momenti della stagione. Perderlo adesso, con le squadre ancora tutte vicine, è meglio che scivolare poi a marzo o aprile. In questo momento, infatti, si può ancora utilizzarlo come leva per far capire alla squadra che deve migliorare, e si possono creare alternativa: ormai il calcio è sempre più impostato sulla ricerca di annullare il gioco avversario, e quando hai delle alternative diventa molto più difficile per gli avversari riuscire a farlo per tutta la partita. Considerando che la Salernitana ha una rosa importante e che siamo ancora a novembre, credo sia giusto spostare l’attenzione proprio su questo: la crescita, il concetto di creare alternative, di migliorare e di non accontentarsi. Gli avversari sono forti, certo, ma anche la Salernitana ha tutto per fare un campionato importante".
Anche se l’attuale capolista del Girone C è il Catania, altra formazione che può inserirsi nella corsa alla Serie B diretta.
"Catania, Benevento, Salernitana, al momento, hanno qualcosa in più che le rende tutte potenzialmente promuovibili. Il problema è che in Serie C, con la formula che c’è, basta un mese fatto male o qualche infortunio di troppo per rischiare di compromettere tutta la stagione. È un campionato molto avvincente per chi lo guarda da fuori, ma per chi è dentro lascia poco margine di errore".
Effettivamente tra i tre professionistici, la C è il torneo più ostico, anche se viene sottovalutato: ne sale solo una, e chi retrocede perde anche lo status di professionista. Il coefficiente di difficoltà della terza serie non è affatto basso.
"No, proprio per niente: hai detto bene, è il campionato più difficile. Basta vedere che tante volte arrivare secondi è visto come un fallimento. Penso, a esempio, al Padova di Mandorlini che arrivò primo a pari punti ma perse la finale playoff ai rigori, e fu comunque considerato un fallimento, tant’è che venne cambiato l’allenatore. La Serie C è davvero terribile: da certi punti di vista è più facile salvarsi in Serie B che vincere in C. Non ti permette pause, non ti concede errori prolungati e non ti lascia spazio neppure per i momenti fisiologici che tutte le squadre attraversano. E mi viene in mente anche il Padova dell’anno scorso: è stato in vantaggio per quasi tutta la stagione, ma per un piccolo periodo aveva perso la testa della classifica contro il Vicenza, salvo poi riconquistarla subito dopo. Basta veramente poco per buttare al vento un’intera annata, e considerando anche gli investimenti che fanno tanti club, non è semplice ripartire dopo un fallimento in piazze che non accettano la Serie C e vogliono almeno la B".
È quello che è successo un po’ anche al Vicenza. Negli ultimi anni non è mai riuscito a centrare la Serie B, ora sembra possa essere l’anno buono: può essere il Padova della passata stagione?
"Al momento sembra proprio di sì. Nel Girone C e anche nel B la competizione è più serrata, mentre nel Girone A il Vicenza ha un bel margine e le squadre sotto non sembrano avere la stessa qualità. Però ricordiamoci che la storia insegna: ci fu un anno in cui l’Alessandria aveva 15 punti di vantaggio sulla Cremonese e poi perse il campionato. Quindi, come ha detto bene mister Raffaele, bisogna sempre aspettare qualche mese in più prima di trarre conclusioni".
A proposito di sorpassi e controsorpassi, tra due settimane Ascoli e Arezzo si affronteranno. Per il Ravenna, quanto è importante essersi messe dietro le due rivali proprio con l'avvicinarsi del big match? Anche se il weekend potrebbe di nuovo cambiare tutto...
"Il Ravenna è una squadra forte, con una struttura societaria importante. Non dico sia stata sottovalutata, ma all’inizio c’erano altre squadre, come appunto Arezzo o Ascoli, che attiravano di più l’attenzione. Però il Ravenna ha elementi di valore, un’identità chiara e merita di stare davanti. Questo raggruppamento è molto competitivo, con tre squadre di livello, e sarà lungo e avvincente, e gli scontri diretti sono importanti, soprattutto per autostima e convinzione, ma hanno anche il rischio del contraccolpo: dopo una vittoria ci si può sedere, dopo una sconfitta invece si può trovare nuova energia. Siamo comunque ancora lontani dalla fine, quindi vale tutto".
Il Ravenna nel prossimo weekend affronterà il Livorno, una gara che sulla carta non è proibitiva. Amaranto palesemente in crisi, con la società che non si prende responsabilità.
"Quando hai una piazza come Livorno, che pretende tanto, certe situazioni non vengono accettate e non viene dato il tempo necessario a nessuno. Non voglio criticare o difendere nessuno, ma a volte società relativamente nuove hanno bisogno di esperienza, e piazze come Livorno questa esperienza te la impongono in fretta. In questi contesti, il margine d’errore è minimo e il peso emotivo di ogni partita è altissimo. Chi lavora lì deve saperlo: non puoi fare le cose a metà, devi farle bene, perché la storia e la tradizione di quella città richiedono rispetto, per i tifosi e per la piazza stessa".
Manca anche un organigramma chiaro e definito, a cui anche un allenatore possa fare riferimento: inevitabilmente si perde qualcosa anche sul campo.
"Esatto. L’organigramma serve proprio a gestire e superare le diverse problematiche: quando ogni ruolo è coperto nel modo giusto - allenatore, direttore sportivo, proprietà - diventa più semplice affrontare le difficoltà, che vanno gestite nel settore di competenza, evitando confusione. Ma non sempre è così, neanche in Serie B o A. A volte c’è troppa promiscuità nelle decisioni e poco rispetto dei ruoli. Ecco quindi che l’allenatore deve pensare che tutto dipenda da lui, anche se spesso non è così, ma se comincia a dire che la squadra non è forte, o che è colpa della società o del direttore, perde subito il controllo della situazione. Poi, certo, servono anche i giocatori giusti e tante altre condizioni, ma l’allenatore deve credere di poter fare la differenza, sempre. Anche quando le cose vanno male, deve chiedersi: “Cosa potevo fare di diverso?”. Vediamo spesso situazioni disastrose che cambiano radicalmente con l’arrivo di un nuovo tecnico. Non è che tutto intorno migliori: è l’allenatore che riesce a produrre quel cambio di rotta. Chi fa questo mestiere deve avere dentro di sé la capacità e la convinzione di poterlo fare".











