Joan Gonzalez e l'addio al calcio: "Ecco com'è andata. Ora comunque sono felice"

Joan Gonzalez, centrocampista che giocava nel Lecce e qualche mese fa ha dovuto abbandonare il calcio giocato per via di problemi al cuore, è stato intervistato da Sky Sport. E ha iniziato ricordando la sua dolorosa scoperta: “Faccio le solite visite mediche, quelle di rito, tra cui l’ecografia al cuore. Nella prova da sforzo trovano un’extrasistole, che è un’alterazione del battito cardiaco. Tanti giocatori lo hanno e non rischia di comprometterti la carriera, però il dottore mi dice che ha una morfologia strana. Così mi consigliano di sottopormi all’holter, che già avevo fatto l’anno del Covid, e uno scanner. Alla fine mi dicono che per il momento devo fermarmi e che devo fare ulteriori controlli. Mi volevano mandare a Padova o a Barcellona per fare ulteriori esami”.
E in che periodo ha fatto tutti questi test?
“Da luglio fino a dicembre, credo. Poi ne ho fatti anche altri i mesi dopo. La verità è che la tempistica non la ricordo bene, perché non volevo pensarci troppo”.
Di solito è così con i traumi, purtroppo. Però, da luglio a dicembre, pensava che sarebbe ripartito o le avevano già fatto capire che c’era il rischio ritiro?
“All’inizio pensi che sarà solo qualcosa da controllare e che tornerai subito in campo. Ma quando i controlli continuano, cominci a pensare al peggio”.
In quei mesi di attesa non poteva allenarsi con la squadra, giusto?
“Sì e non potevo farlo nemmeno da solo, perché i dottori mi dicevano che finché non si sapeva cosa fosse di preciso o quali fossero i rischi, sarebbe stato meglio evitare palestra e allenamenti”.
Da calciatore professionista eri sempre abituato a stare in movimento, come hai affrontato questi mesi e cosa hai fatto?
“Stavo a casa mia, a Barcellona, e ho preso il cane, così avevo la scusa per andare a camminare, un’ora la mattina e un’ora la sera. Si chiama Dobby, l’ho preso in un canile. Andavo più lontano possibile. Qualche volta ho provato correre, ma lentamente”
E durante queste lunghe camminate, cosa pensavi?
“Cercavo di non pensare al calcio. Se continuavo a pensarci, non ne uscivo bene. Dovevo concentrarmi su altre cose”.
Quando le hanno detto che non poteva più allenarsi con la squadra, che reazione hanno avuto i tuoi compagni, Corvino e il presidente?
“Mi hanno detto di stare tranquillo, che non era ancora niente di particolare. Il mio pensiero era che, finché non si sa con certezza è meglio evitare i rischi. Così quando sarei tornato, sarei stato pronto”.
Immagino sia stato un periodo molto difficile. Si è affidato a qualche specialista, uno psicologo, per esempio?
“I miei genitori mi consigliavano di farlo, ma non mi piace parlare dei miei sentimenti. Ho preferito gestirlo da solo, parlandone solo con la famiglia e la fidanzata, anche se l’ho fatto poco”.
Questo tenersi tutto dentro non ha mai portato a dire “non ce la faccio più”?
“Quando succede qualcosa di così grande, ci pensi tantissimo, ma la salute viene prima di tutto. Non c’era il calcio, ma la salute sì”.
Quando le hanno comunicato che sarebbe stato meglio smettere con il calcio?
“Passato gennaio. Non ricordo esattamente la data, anche in questo caso. Ero a Barcellona con i miei genitori e la mia fidanzata. È stato un momento molto difficile. Dopo aver finito i controlli, il dottore mi ha chiamato nella sua stanza e mi ha detto: ‘Era come pensavo, però non te lo volevo dire prima, perché c’era ancora qualche speranza. Con questo problema non puoi tornare a giocare’”.
Qual è la patologia?
“È una patologia genetica. Durante lo sforzo, le proteine del cuore si rompono e lasciano una cicatrice. Questa cicatrice ostacola il passaggio dell’elettricità nel cuore e provoca l’extrasistole, ovvero battiti cardiaci irregolari che si verificano in anticipo rispetto al normale ritmo cardiaco”.
Il presidente Sticchi Damiani ha detto in conferenza che le hanno salvato la vita…
“Sì, i dottori di Barcellona mi hanno confermato che è stato bravo il cardiologo Tondo di Lecce a scoprire il problema, perché non era facile da individuare. Avrei potuto continuare a giocare se non lo avessero visto, ma con tutte le conseguenze negative del caso”.
Come ha vissuto la tragedia di Graziano Fiorita, il fisioterapista del Lecce che è morto in ritiro?
“Ho pensato che la vita può essere molto dura. A volte non va come pensavi. Un giorno ci sei, il giorno dopo no”.
Ha scritto un lungo messaggio qualche giorno fa sui social, dicendo che tutto ciò che era spontaneo era speciale: giocare tutti i giorni a calcio. Quanto è stato difficile lasciare il calcio?
“Molto. Da piccolo tutti vogliono giocare a calcio, ma porto con me tutto il bene di quello che ho vissuto. A volte ho pensato che sarebbe stato meglio non aver mai giocato così non avrei dovuto provare quello che sto provando oggi. Poi però mi dicevo: ‘ma che c***o dici?’. Devo lasciar andare, ma ho avuto la fortuna di viverlo”.
Dopo l’annuncio del ritiro, c’è stato un messaggio o una chiamata che è rimasta impressa?
“Ci sono stati tanti messaggi e chiamate da compagni, dirigenti e familiari. Ma non ho ancora letto tutto, lo farò quando mi sentirò pronto”.
Se la ricorda la prima chiamata di Corvino?
“Abbiamo fatto una videochiamata, mi ha spiegato il progetto e mostrato un po’ tutto. Il mio primo pensiero era che volevo andare a vivere fuori. Tutto mi sembrava bello, e sono andato. Sono stato per un mese nella residenza del club, poi ho preso un appartamento in affitto con un compagno di squadra, Hasic, che ora gioca in Croazia”.
La prima cosa che ha fatto a Lecce, oltre il calcio?
“La prima cosa che abbiamo fatto, con i miei genitori e mia sorella, è stata andare a Porto Cesareo per fare un bagno. Era pieno di gente, come tutte le estati in Salento”.
E l'esordio in prima squadra?
“La settimana prima della partita ho sbagliato un controllo durante l’allenamento e Baroni mi ha detto: ‘Se domenica fai così, Barella ti mangia’. Da lì ho cominciato a pensare che forse avrei potuto giocare. Ho saputo della formazione solo poco prima della partita”
Ma è vero che Antonio Conte la voleva al Tottenham?
“Non lo so, chiedetelo a lui (ride, ndr). Pure io lo vorrei sapere. Forse qualcosa c’è stato tra i club, ma io non ho mai saputo la verità”.
Ora è felice? Tra cinque anni come ti immagini?
“Lo sono e voglio continuare ad esserlo. Mi facevano sempre questa domanda quando giocavo… Sicuramente non mi vedevo così come oggi. Non vado troppo lontano con i pensieri, ma so che farò qualcosa legato al calcio, in qualsiasi forma”.
