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Lo stadio più vicino per Milan-Como è a Perth? No, la vera esigenza è un’altra, e non c’è nulla di male ad ammetterlo

Lo stadio più vicino per Milan-Como è a Perth? No, la vera esigenza è un’altra, e non c’è nulla di male ad ammetterloTUTTO mercato WEB
Oggi alle 00:00Editoriale
di Ivan Cardia

C’è un problema geografico da risolvere in via Ippolito Rosellini. Lo ha rappresentato il presidente Ezio Simonelli, che in pochi mesi ha già fatto tante ottime cose rispetto a chi l’ha preceduto, compreso orchestrare la potenziale disputa di Milan-Como all’estero. Una bella vetrina e un ottimo incasso. Solo che, dopo aver chiarito più volte le reali motivazioni dietro questa idea - sopratutto in termini di visibilità del campionato all’estero -, all’ultimo giro ha aggiunto una spiegazione che ha convinto poco i tifosi: “Ho fatto presente che per noi è un’esigenza, più che un capriccio, considerando l’indisponibilità di San Siro per le Olimpiadi. Il calendario è intasato e non abbiamo stadi alternativi vicini a Milano con la capienza di San Siro”. Parole arrivate poco prima che il comitato esecutivo UEFA rinviasse (prossimo appuntamento a dicembre, ma si dovrebbe decidere entro fine settembre) il via libera alla disputa della partita in quel di Perth.

La spiegazione convince poco: è possibile che lo stadio più vicino a San Siro disti grossomodo 15 mila chilometri? Ovviamente no, perché non è quello il tema. Magari con una capienza leggermente diversa, la questione dell’indisponibilità del Meazza - che tra fine gennaio e inizio febbraio sarà teatro delle cerimonie legate alle Olimpiadi invernali - si sarebbe potuta risolvere rimanendo all’interno dei confini italiani. In verità, era stata risolta in partenza: il Milan, come l’Inter, avrebbe dovuto giocare due partite consecutive in trasferta in quel periodo. Una decisione rispetto alla quale, poco prima di diramare il calendario in quel di Parma, è stato varato il passo indietro. Che, in un circolo virtuoso o vizioso a seconda dei punti di vista, ha portato a creare l’esigenza di cui sopra.

L’esigenza, quindi, non c’è. Semmai, la necessità è l’unica cosa con un certo appeal in sede Uefa, dove al momento la linea è per la contrarietà, nonostante il rinvio. C’è invece una scelta, ben precisa, di esportare il massimo campionato italiano all’estero. Nello specifico, parecchio lontano. Milan e Como non vedono l’ora, la Serie A agguanterebbe la Liga, che ci aveva provato anni fa ed è pronta a farlo. È una scelta, questo il punto, che, seppur impopolare, è del tutto legittima. Chi scrive si spinge oltre: è un’ottima decisione. Porta soldi e visibilità. Magari gli antipodi saranno un po’ lontani per i tifosi abituati ad andare a San Siro, ma per una partita possono farsene una ragione, visti gli ottimi ritorni da tanti punti di vista: il rapporto costi/benefici ci pare vantaggioso.

L’esigenza, semmai, è un’altra: racimolare soldi. Altrimenti, cari lettori, è ovvio che nessuno si sognerebbe di giocare in Australia e nemmeno proporre lo spezzatino o altre ingegnerie pallonare per tirare a campare. È un’esigenza, intendiamoci, lodevolissima. Lo sarebbe comunque, lo è a maggior ragione nel contesto attuale. Il calcio italiano, non sempre ben supportato dalla politica e anzi spesso addirittura da essa osteggiato (l’ipocrita divieto di pubblicità del betting è ancora lì e ha fatto danni ormai irreparabili), raschia il fondo del barile e - ovviamente - la questione non riguarda solo la Serie A. Anzi: in B lo scorso campionato è finito com’è finito, in C si rischia il bis tra Rimini e Trieste. Esperimenti come quello di Milan-Como in Australia (unpopular opinion) sono tentativi lodevoli di chi prova a migliorare prodotto e incassi nel contesto di una generale e clamorosa sindrome nimby, che da anni paralizza qualsiasi svolta. A proposito di dichiarazioni: “Mi rammarico per non aver ancora realizzato la riforma dei campionati, che giudico centrale per il futuro del calcio italiano”, ha detto nei giorni scorsi Gabriele Gravina, presidente federale arrivato al settimo anno di mandato. Pare che prossimamente sia pronto a presentare una nuova proposta di modifica del format: speriamo sia la volta buona.

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