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Pereyra: "Pensavo che alla Juve avrei fatto il magazziniere. Allegri vero uomo di spogliatoio"

Pereyra: "Pensavo che alla Juve avrei fatto il magazziniere. Allegri vero uomo di spogliatoio"TUTTO mercato WEB
© foto di www.imagephotoagency.it
Alessio Del Lungo
Oggi alle 20:15Serie A
Alessio Del Lungo

Roberto Pereyra oggi è un giocatore dell'AEK Atene, ma in passato ha vestito le maglie di Udinese e Juventus in Italia e, nel corso della sua intervista a Cronache di Spogliatoio, ha raccontato il suo arrivo in Friuli: "Ci sono stati subito dei problemi col contratto: qualcosa non tornava. Sono stato 2-3 giorni in albergo. Poi mi hanno detto: ‘Forse devi tornare a Buenos Aires’. E io: ‘E ora che ca*zo faccio?’. Ma loro: ‘O firmi così, o niente’. Non volevo altro: ‘Io sono qui per giocare a calcio. Risolviamo tutto: voglio rimanere’".

La Serie A era un'occasione importante.
"È stata lunga, però non volevo tornare indietro. A Udine ho dato tutto me stesso: sono stato giorni interi lì fra allenamenti, riunioni, ritiri mettendo in secondo piano la famiglia, ma rimarranno per sempre nel mio cuore".

Il tecnico al suo arrivo era Guidolin.
"Una volta gli dissi: 'Ti avrei voluto picchiare per come mi hai trattato i primi 6 mesi all’Udinese’. Siamo scoppiati a ridere. Lui era un tipo nervoso, urlava sempre in allenamento. Io mi dicevo: ‘Ma che sta facendo questo signore?’. I primi tempi a Udine è stato complicato: là alle 20 avevano già cenato, io per quello’ora uscivo per fare spesa… e trovavo tutto chiuso. Poi non capivo la lingua, gli allenamenti erano diversi. Tutta roba nuova: tattica, alimentazione. Sono stato davvero male".

E infatti fu un oggetto misterioso.
"Guidolin è stato un maestro, ma all’inizio non mi faceva giocare. Tornavo a casa urlando: ‘Me ne vado, non gioco e non capisco perché’. Ho sopportato ritiri, viaggi, doppi allenamenti. Mi dicevano: ‘Pereyra devi migliorare qua e là’. E io dovevo andarci. Facevo tutto, poi arrivava il giorno della partita e il mister diceva: ‘Questa è la formazione, in panchina ci vanno loro e in tribuna questi 3’. Fra i 3 c’ero sempre io".

A Natale cambiò tutto.
"Mi sono detto: ‘è il mio momento. Torno a casa una settimana e poi torno’. Lì sono rinato. È cambiato qualcosa dentro di me. Dallo stare in panchina senza giocare per tante partite di fila fino ad essere titolare per 2 anni. Da quel momento Guidolin non mi ha più tolto dal campo. ho giocato in tutti i ruoli del centrocampo. Alla fine devo ringraziarlo".

Com'era Di Natale?
"Non era normale. Si allenava due volte a settimana: faceva la rifinitura, si presentava alla partita e ti faceva vincere. Quando si allenava, prendeva uno dei portieri delle giovanili e iniziava a calciare: punizioni, rigori, tiri. Tutti gol. Io lo guardavo e rimanevo a bocca aperta. Provavo pure ad imitarlo, ma niente. È stato il più forte con cui ho condiviso lo spogliatoio in quel periodo".

Chi altro si vedeva che era davvero forte?
"A me piaceva tantissimo anche Muriel, magari non segnava tanto, ma aveva un talento incredibile. Poi c’erano Benatia, Handanovic, Zielinski: era un’Udinese forte. E poi Bruno Fernandes: ai tempi non era titolare, ma poi si è trasformato. Si vedeva già la sua qualità, il talento… e la personalità soprattutto!".

Poi è stato anche al Watford.
"Al mio arrivo c’erano Okaka, che avevo conosciuto al Watford, e De Paul. Poi è arrivato anche Deulofeu. Quando mi hanno detto che l’Udinese mi voleva di nuovo, ho accettato senza pensarci: con loro potevo tornare a divertirmi".

Ci racconti il passaggio alla Juventus.
"Quando ho saputo del loro interesse, ho detto: ‘Che vado a fare? Al massimo il magazziniere’. In quella Juventus c’erano dei mostri: davanti avevo Pirlo, Pogba, Marchisio, Vidal. Sapevo di partire indietro, ma dovevo giocarmela. Non sai mai cosa può succedere. Pensavo: ‘Vai e vedi. Magari dopo una settimana ti dicono ‘grazie Pereyra, puoi andare’. Ricordo ancora le loro prime parole: ‘Qua si gioca solo per vincere’. Io muto pensavo: ‘Oh, caz*o’".

Con Allegri com'è andata?
"Hanno dimostrato di volermi veramente. Per il mister ero il primo cambio, ma ho giocato molto anche da titolare. Davo tutto me stesso e Allegri lo vedeva. Lui era un vero uomo di spogliatoio: rideva, scherzava, si sentiva in corridoio che urlava. A volte entrava con l’asciugamano sulle spalle… E mi faceva: ‘Dai Tucu, andiamo in sauna’. Non te lo aspetti da un allenatore, ma era un modo per compattare il gruppo. Non ti regalavano nulla. Un giorno non mi sono presentato a fare un’attivazione prima di un allenamento. Il mister è venuto da me: ‘Perché non sei andato?’. E io: ‘Mister, sono un po’ stanchino’. Lui: ‘Così non va bene eh, la prossima volta te ne vai’".

Ha giocato anche una finale di Champions.
"Spiegare cosa si prova in quei momenti è difficile. Avevi tutti attorno: flash, tv, gente. Ma lì non ci fai caso: vuoi solo giocare. Per tutta la settimana si è parlato solo di quello. Buffon, Bonucci, Barzagli, Chiellini erano sereni. Lo percepivi, sempre. Ma in allenamento andavano tutti fortissimo. Alla Juventus era come giocare una partita ogni giorno. Il livello era altissimo. Arrivavi alla domenica sapendo già che avresti vinto".

Come mai si è lasciato tentare dal Watford?
"I primi tempi mi chiedevano: ‘Ma scusa: tu eri alla Juventus e sei venuto qui. C’è qualcosa che non torna’. E io rimanevo come un cog*ione. Rispondevo: ‘Che dovevo fare? Io sono venuto per giocare a pallone’. Lì per lì non mi rendevo conto di essere stato al top del livello mondiale. Non dovevo andarmene via: quello rimarrà per sempre il mio rimpianto. Per molto tempo è stata una ferita aperta, mi faceva male. Se al giorno d’oggi mi dicessero: ‘Hai 23 anni, sei alla Juventus, vuoi andartene con altri 3 anni di contratto?’. Dico: ‘Dove vai? Impossibile. Non esiste’. Ma in quel momento pensavo: ‘Ma se rimango e non gioco per 3 anni, che calciatore sono?’. Magari sarei tornato in Serie B".

E in Inghilterra com'è andata?
"Mi alzavo, aprivo la finestra: pioggia. Sempre. Dicevo: ‘Ma dove sono venuto? Quando caz*o esce il sole?’. Lo vedevo una volta all’anno. È stato pesante, anche perché non parlavo l’inglese. Ricordo Mazzarri che mi rompeva le pa*le, scherzando: ‘Oh Tucu, quand’è che vieni al Watford?’. Ho accettato. Ma non me ne pento, anche quella scelta mi ha portato a essere ciò che sono oggi".

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