Benassi: "Mi davano per finito: ho sofferto ma sono rinato. E adesso la Fiorentina è casa mia"
Lunga intervista a Marco Benassi, ex centrocampista della Fiorentina, oggi ai microfoni di Radio FirenzeViola. Queste le sue principali dichiarazioni, a partire dalla sua nuova vita da allenatore dell'Under 18 viola: "Mi ci sto abituando pian piano. Ogni tanto con i ragazzi, quando manca un giocatore, mi butto ancora dentro, perché comunque ho smesso da poco di giocare. Il calcio è sempre stata la passione della mia vita, quindi quando c'è occasione, lo faccio volentieri. Però, man mano che passa il tempo, un pochettino passa la nostalgia del campo. Ammetto che all'inizio mi mancava: nei primi giorni degli allenamenti, non poter correre e aiutare i compagni mi pesava. Ora ci sto facendo l'abitudine e mi sta piacendo molto".
Il direttore Angeloni, di recente, ci ha detto che la vedeva triste al Viola Park ed è per questo che ha pensato di coinvolgerla. Ha passato davvero mesi difficili quando ha smesso di giocare per problemi fisici?
"Su questo ci sono un po' di leggende e voglio chiarire la situazione una volta per tutte. Io non ho smesso per colpa degli infortuni. L'ultima avventura che ho fatto da giocatore l'ho fatta a Cremona, feci cinque mesi e giocai diciassette partite su diciannove. Uno che ha problemi fisici non ce la fa a giocare in Serie A diciassette volte su diciannove. So che c'era questa diceria su di me perché mi sono fatto male quando ero a Verona al polpaccio per tre volte. Ma avevo ventisei anni. Questa è la cosa che, sinceramente, più mi è dispiaciuta a livello personale, perché tante persone neanche si informavano sulla mia situazione. Io - secondo qualcuno - ero “rotto” a prescindere e non potevo più giocare. E, ripeto, la cosa mi ha fatto molto male. Dopo dieci anni in Serie A un minimo di credibilità pensavo di essermela guadagnata e almeno un’occasione speravo di averla".
Quindi non ha avuto altre proposte dopo Cremona?
"A febbraio dell'anno scorso avevo deciso di ricominciare in Serie C, perché volevo darmi un'altra occasione. Poi, per una serie di motivi, è saltata anche quell’opportunità ed è lì che non ho più voluto saper niente perché quando anche in Serie C fanno saltare le trattative per i soliti motivi ho detto: 'Basta, non ne voglio più sapere'. Anche perché era una vita, nonostante facessi poco, che era diventata pesante".
Chi le è stato davvero vicino in questi momenti per lei difficili?
"La mia famiglia in primis mi ha aiutato tantissimo. Io ho quattro figli, mi sono sposato quando avevo vent’anni… quindi la mia famiglia è la parte che è sempre rimasta con me e mi ha aiutato tanto. Spesso venivo tutti i giorni al Viola Park a vedere gli allenamenti e anche quello è stato un modo per soffrire meno. Ma, ripeto, più che sofferenza, è stato il dispiacere per tanti addetti ai lavori che, a mio modo di vedere, hanno lavorato male, perché si dovevano informare su di me. Io oltretutto non ho mai avuto pretese economiche, perché addirittura mi sono proposto in prova a zero. Ma nonostante quello, ci sono stati tanti no".
Ha dei rimpianti per qualcosa?
"Forse l’unico è il fatto che, avendo i figli che stanno crescendo, mi sarebbe piaciuto, permettergli di vedermi giocare. Non facevano altro che dire: 'Papà, quando ricominci? Papà, dove vai? Papà, cosa farai?'. Quello un po' mi pesava. E mi sarebbe piaciuto vederli allo stadio un po' più grandi".
Come si ricostruisce un'identità quando smetti di fare il calciatore e ti devi reinventare in un altro ruolo?
"Per me è stato tutto molto rapido. Perché ho iniziato subito dando una mano a Galloppa in Primavera lo scorso anno e poi, adesso, sono nello staff dell’Under-18. Ho trovato uno team di lavoro clamoroso ma anche una famiglia. E ho imparato tanto anche dal punto di vista calcistico. Cose che gli allenatori che che ho avuto io, per dire, non mi avevano mai insegnato. Sono stato fortunato".
Ci parli un po’ della “sua” Under-18: che squadra è?
"È un gruppo di cui mi sono innamorato dopo cinque giorni. Non posso dire che sono come i miei figli, perché se sentono i miei figli si arrabbiano, ma sono appena un gradino sotto. Sono un gruppo di ragazzi disciplinati, che danno tutto. Qualsiasi cosa gli proponi, te la fanno al massimo. E sono veramente innamorato di loro. Sono veramente come fossero ventidue figli, sotto tutti gli aspetti. Io, finché ho dei ragazzi così, gli do anima e corpo perché se lo meritano".
Oggi cosa vuol dire la parola Fiorentina per lei?
"È banale, ma è casa ormai. Perché Firenze e la Fiorentina sono state la parte più importante della mia vita. Ci sono nati gli ultimi due figli e mi ci sono cresciuti i primi due. Quindi anche a livello familiare è casa mia. Ho preso casa ora di nuovo per starci per tutta la vita".
Quanto della sua esperienza, anche quella più dolorosa, cerca di trasmettere ai suoi calciatori?
"Vorrei trasmettergli le esperienze che ho vissuto. Mi è capitato con più di un ragazzo di parlargliene, perché sono in un'età dove non sono adulti ma non sono neanche più ragazzini. E con tanti c'è bisogno di fargli capire cosa gli serve per provare ad arrivare a certi livelli. Io gli dico sempre che la parte tecnica e la parte fisica sono fondamentali ma quello che fa la differenza per arrivare in alto è la testa. Con qualcuno, magari, ci ho messo un po’ di più, però sono ragazzi che ascoltano. Non devono riposarsi mai neanche durante l’allenamento: mai fare un minuto di pausa. Bisogna sempre stare sul pezzo".
Ma in tal senso lei è più indulgente o più severo verso i ragazzi, rispetto agli allenatori che ha avuto?
"Io cerco di essere me stesso. Certo, rispetto al mister che è quello che è un po’ più buono, io se c’è da bacchettare, bacchetto. Perché comunque pretendo che quando si va in campo, al di là che i ragazzi hanno diciassette anni, devi pensare a lavorare. Io glielo dico sempre: “A me in tasca non mi viene niente”. Devono capire che questa è la cosa che fa la differenza, se vogliono provare ad arrivare a livelli alti".
Nella sua carriera c'è un allenatore che ha avuto al quale le piacerebbe ispirarsi, se poi un giorno dovesse intraprendere veramente un percorso da allenatore a certi livelli?
"Ne ho avuti tanti, anche di bravi. Da Ventura, a Mihajlovic, che purtroppo non c'è più, al primo Pioli a Firenze. Quello che però mi ha veramente colpito più di tutti è Vincenzo Italiano. Io da lui, e ve lo dico nonostante abbia giocato poco e mi abbia perfino cambiato ruolo, ho imparato tantissimo. Aveva una preparazione che era qualcosa di allucinante. E penso che si stia continuando a vedere anche ora. Spesso ci scherzavo e gli dicevo: 'Prima della fine dell'anno, ti regalo una scatola d'occhi, perché non puoi tenere questi ritmi'. Però, tutta questa convinzione che ha l'ha portato ora a livelli altissimi".
Chiudiamo con i tuoi figli, Alessandro e Andrea, che giocano nelle giovanili della Fiorentina. Che percorso pensa possano avere?
"Sono piccolissimi, è troppo presto per dirlo (hanno 8 e 10 anni, ndr). Io gli dico sempre: “Ragazzi, a quest'età, divertitevi e fate le cose per bene". È l'unica cosa che gli ho detto fin dal primo giorno che hanno iniziato a giocare. Per il resto, non mi sono mai intromesso, perché sono piccoli ed è giusto che facciano il loro percorso. Però, sono bravi, devo dire la verità. E hanno la fortuna di allenarsi in un ambiente splendido come il Viola Park".











