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Varane: "Salute mentale tabù del calcio. A 18 anni ero a Madrid, solo, in chiara depressione"

Varane: "Salute mentale tabù del calcio. A 18 anni ero a Madrid, solo, in chiara depressione"TUTTO mercato WEB
Simone Lorini
Oggi alle 14:11Calcio estero
Simone Lorini

Raphaël Varane, ritiratosi nel settembre 2024, in una intervista a Le Monde, ha portato alla luce una serie di testimonianze personali di atleti. Tutti avevano vissuto difficoltà legate alla salute mentale, proprio come lo stesso Varane, che affronta la questione nel documentario televisivo Têtes Plongeantes ("Tuffi di Testa") insieme ad altri membri della squadra francese vincitrice del Mondiale 2018. Secondo la FIFPRO (il sindacato internazionale dei calciatori), tra il 20% e il 35% dei calciatori affronta tali difficoltà nel corso della propria carriera. "All'epoca, abbiamo vissuto emozioni incredibili, che abbiamo condiviso con milioni di persone in Francia. Volevamo ricreare quell'impatto in contesti diversi", ha affermato Varane, profondamente coinvolto in Génération 2018, un fondo di dotazione creato dai 23 campioni del mondo. Dopo aver sostenuto diverse altre cause, il fondo ha scelto la salute mentale come obiettivo principale per il 2025, attraverso il documentario e il supporto al progetto Mentalo, uno studio scientifico sul benessere giovanile.

Perché Génération 2018 ha fatto della salute mentale la sua priorità quest'anno?
"Perché è un problema che sta peggiorando nella società. Sempre più persone sono colpite da problemi di salute mentale. L'idea era di utilizzare la forza del collettivo per avere un impatto positivo. Fa bene creare un legame tra le persone, perché alcune storie di vita risuoneranno con altre e potrebbero incoraggiare le persone ad aprirsi. Parlarne non significa dire che va tutto male. È un primo passo per andare avanti e trovare soluzioni per sentirsi meglio".

Alla domanda se il mondo del calcio debba preoccuparsi riguardo alla salute mentale, Varane ha risposto affermativamente, spiegando che nel calcio l'argomento è ancora un "tabù". Ha osservato che, sebbene il calcio spinga a superare i limiti tattici, fisici e tecnici, quando si arriva agli aspetti mentali e psicologici, "ognuno affronta i propri problemi da solo". Ha aggiunto di aver compreso ciò troppo tardi nella sua carriera. L'ex difensore ha poi concluso il suo pensiero sul tema sottolineando che, se potesse tornare indietro, avrebbe iniziato a lavorare con il team di supporto (un mental coach e due psicologi) che lo ha aiutato a concludere la carriera sentendosi benissimo, fin dall'inizio.

È difficile per un calciatore professionista "lamentarsi"?
"È vero che a volte non ci sentiamo legittimati, perché abbiamo avuto carriere straordinarie. Sui social media, mostriamo il top 1%, i momenti migliori delle nostre vite. Ma dietro a questo, attraversiamo momenti difficili. Indipendentemente dalle nostre carriere, siamo esseri umani prima di tutto. Parlarne aiuta a dimostrare che i problemi di salute mentale possono colpire chiunque".

Quando ha avuto per la prima volta questi problemi durante la sua carriera?
"Dopo il mio arrivo al Real Madrid. Avevo 18 anni e non avevo avuto un'adolescenza normale. Ero solo, mi allenavo sempre e giocavo pochissimo. Sentivo che il mio sogno mi stava sfuggendo. In campo, ero totalmente concentrato. Ma dopo, non volevo tornare a casa. Era una depressione. Non provavo più gioia per nulla".

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