Nunziante, una lezione al calcio italiano: "Il talento c'è, manca il coraggio"

L’intervista ad Alessandro Nunziante, portiere classe 2007 dell’Udinese, è illuminante e al tempo stesso amara. "Questo Mondiale rappresenta una tappa importantissima per il mio percorso - Indossare la maglia della Nazionale è sempre un onore, l’ho ripetuto più volte e non mi stancherò mai di dirlo, era il mio sogno da bambino - ha dichiarato il numero uno azzurro in esclusiva a TuttomercatoWeb - Nell’ultima edizione del Mondiale Under 20 Desplanches è stato premiato come miglior portiere, ha portato la squadra ad un passo dal titolo, eppure in quell’anno giocava neanche in Serie C. In Italia il talento c'è, manca solo il coraggio per farlo emergere".
Ecco, la parola chiave è proprio questa: coraggio. Una parola che in Italia sembra non appartenere al vocabolario del calcio professionistico. Lo vediamo da anni, e noi de La Giovane Italia lo raccontiamo senza timore: i giovani restano spesso a guardare. Restano seduti in panchina mentre davanti a loro scendono in campo calciatori esperti ma in evidente difficoltà fisica, oppure stranieri scelti perché hanno più fascino, perché hanno un curriculum che abbaglia o perché fino a ieri esistevano agevolazioni per acquistarli.
Il caso di Nunziante è emblematico: un 2007 che da titolare in Serie C con il Benevento si è guadagnato la chiamata di una squadra di Serie A, l’Udinese, e che oggi brilla con la Nazionale. Eppure, in bianconero non ha ancora trovato spazio, nemmeno quando la squalifica di Okoye avrebbe potuto concedergli un’occasione.
Una storia - aldilà dell'esempio di Nunziante e dell'Udinese - che conosciamo fin troppo bene: i giovani arrivano, stupiscono, ma restano bloccati dal timore che un errore possa “bruciarli”. Quando invece è proprio attraverso l’errore che si cresce, che si diventa grandi. Il problema, allora, non è la mancanza di talento: quello ce lo invidiano in molti. Il problema è un sistema che si ostina a frenarlo, preferendo tenere i ragazzi “protetti” nelle Primavere fino ai vent’anni, mentre all’estero i loro coetanei hanno già 70-80 presenze tra i professionisti. E lo diciamo chiaramente: a cosa serve una Primavera piena di diciannovenni e ventenni? Non certo a formare calciatori pronti, ma a prolungare un limbo che toglie più di quanto dia.
Da anni denunciamo decreti senza logica, modifiche regolamentari che spostano solo più in là il problema, scelte discutibili che non hanno mai inciso davvero su uno dei nodi principali: la mancanza di fiducia. Ecco perché le parole di Nunziante pesano come un macigno. Perché non sono lo sfogo di un osservatore esterno, ma la voce diretta di chi vive sulla propria pelle questo paradosso.
E allora sì: l’Italia può vincere, può arrivare fino in fondo anche a questo Mondiale, e noi ce lo auguriamo. Ma cosa succederà dopo? Quanti di questi ragazzi diventeranno davvero protagonisti nei nostri campionati? La verità, oggi, è che le possibilità sono poche. Perché il sistema non cambia, perché il coraggio continua a mancare. E se davvero vogliamo che il calcio italiano torni a crescere, dobbiamo smetterla con gli alibi. Non serve parlare di cicli, di riforme a metà, di “progetti”. Serve una scelta netta: o si ha il coraggio di puntare sui giovani, oppure continueremo a perderli. Perché il talento, come dice Nunziante, c’è. Ma se resta chiuso in panchina, il rischio è che un giorno non ci sia più
