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Più riposati che pronti: il paradosso dell'Italia di Nunziata agli Europei U21

Più riposati che pronti: il paradosso dell'Italia di Nunziata agli Europei U21TUTTO mercato WEB
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Oggi alle 09:30La Giovane Italia
di La Giovane Italia
Il nostro editoriale relativo alle dichiarazioni del CT, volte a sottolineare i pochi minuti collezionati dagli Azzurrini durante la stagione.

“Sinceramente pensavo che essendo a fine biennio, i ragazzi giocassero di più”. Con queste parole, pronunciate ai canali ufficiali della FIGC, Nunziata ha fotografato una situazione tanto evidente quanto preoccupante. A pochi giorni dall'inizio degli Europei Under 21, il "timore" più grande non riguarda tattica, moduli o qualità tecniche, ma soprattutto il minutaggio.

“Qualcuno è arrivato riposato, ma sarebbe stato meglio se avesse giocato un po’ di più”, ha aggiunto il CT con una punta di delusione. Il riferimento, chiaro e diretto, è alla difficoltà di gestire un gruppo spaccato a metà: da una parte chi ha giocato poco e va rimesso in condizione, dall’altra chi ha speso energie tutto l’anno e ora rischia di arrivare scarico fisicamente e mentalmente. Uno scenario che, analizzato ruolo per ruolo, dà pienamente ragione alle sue parole.

In porta, la situazione è già eloquente. Desplanches, teoricamente il nostro titolare, dopo una prima parte di stagione da titolare al Palermo è praticamente sparito dai radar da gennaio in poi, con una sola presenza in Serie B. Sassi ha raccolto qualche "briciola" tra B e C, 7 apparizioni in tutto, mentre Zacchi ha sì giocato con continuità, ma esclusivamente in Serie C.

Tra i difensori le note positive ci sono, ma non bastano a mascherare i problemi. Coppola è una certezza, così come Ghilardi, entrambi colonne del Verona. Bene anche Pirola all’Olympiacos e Zanotti in Svizzera, due che hanno trovato spazio e responsabilità nei campionati all'estero. Ma il resto della linea difensiva è un puzzle difficile da comporre. Ruggeri ha giocato sì, ma spesso partendo dalla panchina: Gasperini ha puntato, nella maggior parte delle occasioni, sulla coppia Zappacosta-Bellanova. Turicchia e Kayode hanno dovuto cambiare aria per rimettersi in carreggiata, tornando a giocare solo nella seconda metà di stagione, dopo mesi di anonimato. Guarino ha vissuto una parabola simile, con l'unica differenza che lo ha fatto rimanendo nel proprio club: la Carrarese.

Passiamo ora al centrocampo. Prati, che tanto aveva brillato in Sardegna con Ranieri, quest'anno è stato messo da parte a Cagliari. Casadei ha dovuto cambiare squadra per ritornare a giocare, Ndour ha faticato a imporsi sia in Turchia che a Firenze e Fazzini, pur in crescita sul finale, ha pagato a caro prezzo una stagione "condita" (purtroppo) dagli infortuni. Pisilli e Fabbian hanno entrambi raggiunto quota 40 presenze, tra titolarità e subentri. Tuttavia, i numeri non dicono tutto. Prendiamo il caso del centrocampista giallorosso: mai titolare in Serie A da marzo in poi. Un aspetto che va sottolineato, soprattutto in un'analisi come questa. Doumbia ha trovato una discreta continuità solo dopo dicembre (fin lì, due gare dal 1'), mentre Bianco, con 35 partite disputate, è una delle poche eccezioni del gruppo azzurro.

Chiudiamo, infine, col reparto offensivo. Gnonto e Koleosho sono stati celebrati "mediaticamente" per la promozione in Premier League, com'è giusto che sia visto il traguardo raggiunto. Ma attenzione a questi dati: l'ex Inter ha giocato soltanto una volta come titolare da fine dicembre a marzo (compreso). Koleosho, invece, ha vissuto una seconda parte di stagione quasi da desaparecido: tre presenze in Championship da febbraio a oggi. Il discorso di Baldanzi è invece simile a quello del compagno Pisilli: tante presenze (anche qui, 40), poche chance dal 1' in Serie A. L’unico ad aver avuto continuità, sotto questo punto di vista, è stato Ambrosino con il Frosinone, in Serie B.

E allora sì: al termine di questa analisi, la delusione del CT è comprensibile. Anzi, è inevitabile. Una Nazionale ricca di potenzialità enormi, ma che parte (rispetto ad altre realtà) ovviamente in salita. E per una volta, il problema non è la qualità: ma chi ha (o non ha) creduto in essa.

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