Atalanta, Scalvini: "Cresciuto grazie al dolore. Mi sentivo più fragile, ma ora non mollo mai"

"Chiamiamolo nuovo inizio, di una seconda parte di carriera: per lavorare come prima, ma con ancor più determinazione e motivazioni”. Pensieri e parole di Giorgio Scalvini. Intervistato da La Gazzetta dello Sport, il difensore dell'Atalanta ha raccontato il calvario per l'ennesimo infortunio grave della sua carriera e si è detto più che mai desideroso di recuperare appieno, allenarsi e giocare il campionato e le competizioni internazionali con la Dea.
La cosa più importante imparata in questi mesi?
“Che sono capace di non mollare mai: dopo il secondo infortunio sarebbe stato facile lasciarsi andare, invece mi sono scoperto molto resiliente. E poi non essere concentrato solo sulla partita da giocare ti aiuta ad aprire le mente; a notare cose, particolari tecnici o tattici, su cui non ti eri mai soffermato”.
Il giorno peggiore?
“Classifica difficile: come scegliere se sia peggio rompersi un crociato o una spalla. Certo, altri quattro mesi di riabilitazione dopo averne già fatti sei... Ricordo una notte, forse la prima dopo l’intervento alla spalla, tremenda: il dolore, la scomodità del tutore, il fastidio della ferita. Non riuscivo a dormire, mi veniva voglia di spaccare tutto”.
Scalvini l’impermeabile a tutto, si è sempre detto: all’esordio in A a 17 anni, in Nazionale a 18, alle voci di mercato, ai complimenti. E alla sfortuna?
“Sarei stato impermeabile se non mi fosse successo nulla... No, dai: un po’ ti senti più fragile. Ma ho avuto vicini famiglia, fidanzata, amici, tifosi e tutti all’Atalanta. Mi hanno aiutato a non avere pensieri negativi e a pensare solo al recupero”.
Sensazioni dopo il ritorno in campo?
“Quest’estate ho sentito proprio il bisogno di allenarmi tanto e ora ogni giorno sto meglio: il ginocchio era già ok, ho avuto solo bisogno di un po’ di tempo per 'sbloccare' psicologicamente la spalla”.
Tanta voglia arretrata può essere pericolosa?
“È lo staff medico a tracciarmi la strada giusta. E due infortuni gravi mi hanno aiutato a conoscere meglio il mio corpo”.
