Orgogliosi, ma di che? Inter, solo le zero scuse più incredibili dei cambi di ieri

Premessa d’obbligo. Criticare l’Inter, dopo un 5-0 da Armata Brancaleone e che resterà negli anni della Champions League, è fin troppo facile. Idem con patate per quanto riguarda Simone Inzaghi, come sparare sulla Croce Rossa. Delle tante cose, poche azzeccate, dette dopo il ko con il PSG, c’è di vero che i meriti restano, persino dopo una serata così. E che fallimento forse non è proprio la parola più corretta, per quanto suoni molto credibile alle orecchie dei tifosi nerazzurri, in un’annata da zero titoli.
Fatta la premessa, c’è qualcosa di ancora più incredibile dei cambi visti ieri all’Allianz Arena. Che, per la cronaca, restano inspiegabili: l’Inter ha chiuso una partita con una sconfitta per 5-0 senza inserire uno solo degli attaccanti o dei centrocampisti difensivi a propria disposizione. Forse non sarebbe bastato comunque a riprendere per i capelli una squadra che sembrava - non è così - capitata lì per caso, ma nel pallone ci è finito palesemente anche l’allenatore, che tanti meriti ha avuto nell’arrivare a una finale da Davide contro Golia e però ieri non ne ha indovinata una. Compreso un post partita, non solo da parte di Inzaghi, stonato almeno in una parte. Non la difesa d’ufficio di Beppe Marotta, che non è arrivato dov’è arrivato mangiando allenatori al triplice fischio, né le mancate dimissioni dello stesso Inzaghi - c’era chi se le aspettava -, che ha tutto il diritto di rivendicare il proprio lavoro e di demandare ad altri eventuali scelte.
A colpire, invece, è stata la contrapposizione tra l’orgoglio per esserci arrivati - “siamo orgogliosi del percorso fatto”, lo hanno detto sia Marotta sia Inzaghi - e la totale assenza di scuse ai propri tifosi (i più appassionati non erano allo stadio, forse questo ha inciso), solitamente la prima cosa che arriva in questi casi. Forse l'assunzione di responsabilità (collettiva, chiariamo, mica sarebbe solo di Marotta o di Inzaghi: anzi, in campo ci va una squadra) era considerata implicata, ma non è arrivata, al netto di un generico “dispiace per i tifosi”. I quali, in fin dei conti, si chiedono di cosa ci sia da essere orgogliosi. Del percorso, per carità. Del 4-3 al Barcellona che rimarrà un’impresa, sicuramente. Della medaglia d’argento che l’Inter - e Luis Enrique l’ha rimarcato - ha rispettato come è giusto fare e non sempre avviene, assolutamente. Però poi ci sono una prestazione e un risultato, per una volta collimanti al millimetro, che all’orgoglio portano a sostituire altri sentimenti, di segno opposto. Perché a volte arrivare in cima può non essere un traguardo, se la caduta fa male come quella di ieri sera.
