La palla ce l'ha Inzaghi, ma l’ultima mossa tocca a Marotta: il giorno della verità

La palla ce l’ha Simone Inzaghi. Anzi no, ce l’ha Beppe Marotta. È il gioco delle parti, quello che andrà in scena nel pomeriggio in viale della Liberazione, o magari in altre zone di Milano, più nascoste ai cronisti. L’Inter e il suo allenatore si possono separare, smaltita la delusione del 5-0 incassato a Monaco di Baviera dal Paris Saint-Germain, ma bisogna pure capire per decisione - non colpa - di chi.
Le posizioni “ufficiali”. La più chiara, nelle dichiarazioni, è quella del club, che anche dopo la figuraccia dell’Allianz Arena ha ribadito la fiducia nei confronti di Inzaghi. Per l’Inter, il tecnico non è mai stato in discussione, né prima né dopo la finalaccia con Luis Enrique. A togliere qualsiasi certezza, sia prima - quando non ha chiuso alle sirene arabe - che dopo la finale, con quel “Non so rispondere” a chi gli chiedeva del Mondiale per club, ci ha pensato invece lo stesso Inzaghi.
Nessuno ha l’alternativa che vorrebbe. È uno dei punti chiave del confronto. Inzaghi alla porta ha l’Al-Hilal, mica il Real Madrid. E Marotta, che anche per non delegittimare il proprio allenatore non ha “bloccato” nessuno, non ha libero Allegri. O, anche senza nomi, non ha libero alcun vero top. Il primo nome è quello di Cesc Fabregas, che: a) è un’incognita; b) potrebbe benissimo dire no all’Inter come ha fatto al Bayer Leverkusen. Il secondo è quello di Roberto De Zerbi, che piace tanto al ds Piero Ausilio ma poche settimane ha rinnovato i voti con l’Olympique Marsiglia e non è uomo da passi indietro. Poi la trafila dei vari Chivu e Vieira, mentre un altro ex come Thiago Motta non pare una suggestione ma, da allenatore, avrebbe qualcosa in più di alcuni dei nomi fin qui citati. Insomma: non è un tema di alternative. Forse - almeno non del tutto - neanche di soldi.
Le posizioni “reali”. Si torna all’inizio, la palla ce l’ha Inzaghi. Ma è una narrazione, almeno in parte. La questione economica c’è, i soldi dell’Al-Hilal fanno gola a tutti, entrano nella testa e infatti in Arabia Saudita sono tutti convinti che alla fine vada a Riyadh, specie dopo che la famiglia non ha bocciato il trasloco mediorientale. A Milano, in compenso, non ha proprio lo stipendio di un operaio. Posto che la prima scelta la farà lui - se vuole andare andrà -, la palla è (parecchio) nel campo dell’Inter. Perché, se come prevedibile l’approccio di Inzaghi non sarà quello di chi ha già deciso di salutare, allora la società sa benissimo cosa chiede: un mercato di un certo livello, e che gli obiettivi vadano di conseguenza. Tradotto: la figuraccia di Monaco pesa sul potere contrattuale di Inzaghi, ma l’Inter ci è arrivata con un mercato che - sulla carta - non avrebbe dovuto legittimare nessun sogno di gloria. Se perdere così male (malissimo) è peggio che non arrivarci, c’è un’incongruenza nel ragionamento. Meno oggettiva è una delle altre questioni: più protezione nel Palazzo, e nel racconto mediatico attorno all’Inter. Degli arbitri, del calendario, delle trasmissioni di giurisprudenza sull’Inter si può discutere per ore e ore senza arrivare a essere d’accordo: il punto non è questo, ma che Inzaghi ha questa percezione e questa porterà al tavolo delle trattative. C’è poi, forse prima, la durata dell’eventuale rinnovo: basta con prolungamenti di anno in anno, che sia almeno 2028. A quel punto, ecco dove finisce la palla: tra i piedi di Marotta, Ausilio e Baccin. Che, se vogliono confermare Inzaghi, possono farlo facilmente (più o meno). Oppure apparecchiare perché, alla fine, sia lui a passare come quello che se ne va. Questione delicata, un circolo vizioso nel quale si torna sempre al punto di partenza: nessuno ha davvero l’alternativa che vorrebbe, ma forse è l’Inter a perderci di più. Al netto di un 5-0 doloroso e che, in qualche modo, toglie all’allenatore potere contrattuale. Però il “percorso”, su cui fanno ironia gli altri tifosi, non può nemmeno essere completamente ignorato.
