Mkhitaryan si racconta: "La Roma, il retroscena sul Milan, il 5-0 dal PSG, Inzaghi e Chivu"

Il centrocampista dell'Inter, Henrikh Mkhitaryan, ha parlato dal palco del Teatro Sociale di Trento nel corso del Festival dello Sport 2025. Queste le sue parole raccolte da TuttoMercatoWeb.com.
Tuo padre ti ha detto una frase prima di morire che ti ha guidato. Quale?
"Che dovevo essere sempre una brava persona. A 4-5 anni non sai cosa diventerai nel futuro. Mi ha sempre detto questo, ricordo che ero in macchina con lui e lui ripeteva sempre questa frase".
Tuo padre sarebbe contento di te come uomo e come campione?
"Secondo me soprattutto come uomo, perché non importa il mestiere che fai, ma come sei".
Tua nonna voleva che facessi altro?
"Sì, voleva che facessi il cantante, perché vedeva che tipo di 'tortura' vivesse mio padre in campo e fuori. Iglesias? Le piaceva particolarmente insieme ad altri".
Hai cominciato con Lucescu, ora ti allena un suo connazionale, Chivu. Cosa ricordi di Lucescu?
"Sono grato a Lucescu, mi ha voluto lui allo Shakhtar, dove ho fatto 3 anni bellissimi. In quel periodo vivevo nel centro sportivo, avevo il sogno di diventare un grande giocatore. Lui mi diceva di andarmi a divertire ogni tanto. Grazie a lui poi sono andato al Dortmund. Mi ha fatto i complimenti, anche per il libro che ho scritto".
C'è qualcosa di Lucescu in Chivu?
"Non direi che ci sia molta somiglianza, perché il calcio è cambiato. Ora è un altro sport. La cosa più importante è che mi sono sentito bene con Lucescu e mi sento benissimo anche con Chivu".
Al Dortmund hai avuto Klopp.
"Ogni volta in cui volevi parlare con lui era disponibile, indipendentemente che fosse per parlare di calcio o di problemi di vita. Gli sarò sempre grato, perché ho avuto difficoltà al Dortmund".
Ti deve 50 euro?
"Fu una scommessa in allenamento. Mi disse: 'Scommettiamo che non farai più di 7 gol in questo esercizio?'. Primo tiro: fuori. Secondo: palo. Poi inizia ad entrare. Mi ferma dopo poco dicendomi che il tempo era terminato e gli pago 50 euro. Nella sfida successiva contro l'Eintracht faccio 2 gol, quelli che mancavano nell'esercizio (ride, n.d.r.). Dopo la partita mi ha abbracciato e gli ha detto: 'Mi ridai i 50 euro?'. Non capivo bene le scommesse, infatti poi non ne abbiamo fatte altre".
Klopp ha deciso di non allenare più, che ne pensi?
"Ha dato tantissimo al calcio, tutti sanno chi è e che persona è. Mi dispiace, ma se ha scelto così bisogna rispettarlo".
Tuchel come vi entrava in testa?
"Prima di parlare di lui, vi volevo spiegare che l'ultimo anno con Klopp abbiamo avuto difficoltà, arrivando settimi e arrivando in finale di Coppa di Germania. Klopp se ne andò. Lo ha sostituito Tuchel e io volevo andarmene, non mi sentivo bene fisicamente e mentalmente. Trovai un accordo con il Dortmund per lasciare. Tuchel però arrivando disse di voler parlare con me e mi disse di fidarmi di lui. E disse: 'Fidati di me, in questo ruolo farai 15 gol e 15 assist'. Io ridevo, perché avevo perso fiducia. Anche il mio procuratore Raiola mi diceva di andare via. Alla fine ho fatto una grande stagione ed il merito è suo. Mi ha ridato la fiducia e la gioia di giocare a calcio".
Arriva la rottura all'aeroporto di Liverpool, con Tuchel. Cosa successe?
"Non posso spiegarla io, perché non me l'aspettavo. Dopo quella sconfitta in semifinale di Europa League contro il Liverpool, il CEO del Dortmund mi disse: 'Puoi trovare un'altra squadra, non ti vogliamo rinnovare il contratto'. E io pensai: 'Che cavolo faccio qua?'. Non meritavo un comportamento del genere. Era inizio aprile e mancava un mese e mezzo alla fine della stagione. Arriviamo in finale di Coppa di Germania contro il Bayern. Arrivammo ai rigori, io volevo calciare il quinto. Tuchel mi disse: 'O calci il secondo, o non tiri'. E io decisi di non tirare. Ero giovane, ho sbagliato e rimane una ferita nel mio cuore. Poi ho capito con il tempo perché volesse che calciassi il secondo o il terzo".
Arriva una chiamata da Manchester.
"Mi chiama Mourinho, mi dice che mi vuole a Manchester perché secondo lui avevo fatto una stagione pazzesca. Una opportunità che magari ti capita una volta nella carriera".
Il rapporto con Mourinho è stato un po' conflittuale. Perché non vi siete presi?
"Nonostante le difficoltà, il mio rapporto con lui non è stato dei più facili. Ma mi ha fatto crescere come uomo. Voleva mettermi in difficoltà e vedere se riuscivo ad uscirne. Io non ho mai mollato nella vita. Non dico che abbiamo avuto un brutto rapporto come persone, ma fra allenatore e giocatore abbiamo avuto sempre confronti poco piacevoli. Ma è stato utile per capire come comportarmi nel calcio. Da lì ho iniziato a guardarmi attorno ed a capire che è stato veramente giusto così".
Che giochi psicologici faceva?
"Voleva vedere se fossi mentalmente forti, se potevi giocare nelle partite che contano in Champions ed in campionato. Il modo suo di allenare e di capire le persone è questo, per capire se può fidarsi di te".
Dopo la finale vinta in Europa League Mourinho non ti diede la mano.
Non mi diede la mano, forse si è scordato o forse voleva vedere come mi sarei comportato. Sul momento non ci ho badato. Ma ovviamente mi ha lasciato il segno: 'Perché?', mi sono chiesto. Ma ho imparato che comunque una persona non debba per forza abbracciarti per dirti bravo".
Come nasce la passione per l'Arsenal?
"Per Wenger. Ed ho passato sei mesi bellissimi con lui prima che lo licenziassero dopo tanto. Facevamo il calcio offensivo che piace a lui. Ho iniziato a seguire l'Arsenal da quando avevo 9-10 anni perché in Armenia facevano vedere le partite di Premier League. Quello di giocare all'Arsenal è sempre stato il mio sogno. Evidentemente non era cosa mia, anche se era il mio sogno, ma poi capii che dovevo cambiare".
Arriviamo a Mino Raiola. Come vi siete conosciuti?
"Quando ero allo Shakhtar non avevo un procuratore. Mi serviva un procuratore per arrivare a giocare nei migliori campionati d'Europa. Io e mia sorella guardammo la lista dei procuratori e contattammo lui. Al primo contatto, lo chiamai 'mister Raiola'. E lui: 'Ma che Mister Raiola, mi chiamo Mino'. E io: 'Va bene mister Raiola'. E lui: 'Se mi chiami ancora mister Raiola non ti parlo più'.
Ce lo racconti?
"Mi chiese: 'Vuoi i soldi o il calcio?'. E io gli risposi che pensavo solo al calcio. Allora ha fatto tutto ciò che serviva per farmi raggiungere i miei obiettivi sportivi".
Soldi o carriera: a questa domanda come risponderebbe un ragazzo che emerge nel calcio di oggi?
"Ognuno fa le proprie scelte, non puoi dire a nessuno cosa debba fare. Al massimo puoi dare un consiglio. Io dico che fare il lavoro che ti piace è la cosa più bella. Ma la felicità non sono i soldi, è ciò che c'è dentro una persona. Pur avendo 36 anni, ancora oggi mi diverto ad ogni allenamento. Ci arrivo come un bambino che va al primo giorno di scuola".
Quando sei andato alla Roma, c'era anche il Milan?
"Tutto iniziò ad agosto, nel 2019. Mino mi disse che dovevamo cambiare perché non ero felice. Mi chiese se preferivo Milan o Roma. E io non sapevo cosa scegliere. Il Milan si è concentrato su Tyson dello Shakhtar, ci sarei arrivato se non fosse arrivato lui. Allora dissi a Mino che preferivo andare alla Roma. Per 5 giorni non ho più avuto novità. Poi arrivammo al 30 agosto, si giocava il derby Arsenal-Tottenham. Mezz'ora prima della riunione tecnica Mino mi disse: 'Cosa fai?'. E io: 'Vado a giocare'. E lui: 'Ah va bene, ma subito dopo la partita hai il volo per Roma, dobbiamo firmare il contratto'. C'era il volo da Londra alle 7 di mattina. All'aeroporto una guardia mi chiese: 'Hai firmato? Sono romanista'. Da lì è nato il mio rapporto con la Roma".
Cosa ricordi della passione di Roma?
"Da quel giorno in cui sono arrivato, ho visto un'accoglienza pazzesca. Che avevo solo letto dai giornali. Sono molto grato alla piazza. La gente lì è pazza nel senso buono, ho vissuto 3 anni lì dove mi sono divertito. Ho ritrovato la felicità ed il piacere di giocare a calcio. Dal primo giorno è andato tutto benissimo".
Ti senti più romano o milanese?
"Italiano. Ho passato 3 anni bellissimi a Roma, sono al quarto a Milano. Sono entrambi posti speciali per me. Uno dei miei figli è nato a Roma, l'altro a Milano".
Come sei diventato così unito a Roma con Mourinho?
"Abbracciandoci a Tirana gli ho detto: 'Lo abbiamo rifatto'. Il mio terzo anno alla Roma quando è arrivato José abbiamo avuto un rapporto completamente diverso rispetto a Manchester. Magari è cambiato qualcosa in me, che ormai avevo 33 anni e iniziavo a capire meglio il suo comportamento verso i giocatori. E lo ringrazio, forse ha visto che non ero più quello di Manchester".
Era cambiato Mourinho?
"Sì, era cambiato. Quanti Mourinho esistono? Solo uno, lo 'Special One'. Ho visto un Mourinho diverso, ma anche lo stesso che mi ha dato tanto e con il quale ho vinto anche a Roma un trofeo che si aspettava da tantissimo".
Il tuo trasferimento all'Inter è stato tardato di un anno rispetto a quando si doveva fare?
"Tutto è iniziato dopo il secondo anno a Roma. Ricevetti una chiamata da Ausilio, mi disse che mi voleva all'Inter. A me andava bene, ma volevo che si chiudesse entro il 31 maggio, perché avevo l'opzione di rinnovo. Lui mi disse che doveva prima vendere due giocatori. Io non volevo aspettare senza sapere. Non ci siamo più sentiti. Dopo la terza stagione parlavo di rinnovo con Tiago Pinto. Lui sapeva che volevo chiudere la carriera a Roma. Magari non mi hanno capito o non mi credevano, volevano fare tutto a modo loro. E allora ho detto di no: 'Per me l'importante è sentirmi importante per voi'. Mi offrivano un contratto di un anno più opzione. Giocammo poi contro l'Inter e io segnai a San Siro. Ausilio mi richiama e mi dice che a quel punto erano sicuri e che Simone Inzaghi mi voleva. Dovevamo ancora giocare la finale di Conference League, ma dissi di sì perché la Roma non era stata molto chiara con me. Mourinho in questo caso non sapeva niente secondo me, o magari a lui dicevano che era tutto a posto. L'allenatore mi voleva, ma al contempo sapevo che Mourinho non poteva rimanere tutta la vita a Roma. Così decisi di andarmene. Mourinho sapendo che non avrei rinnovato si è messo a litigare con Tiago Pinto. Mi disse: 'Parla con me, non con lui così facciamo le cose per bene'. Ma gli dissi che era già troppo tardi".
Che rapporto c'era o c'è con Simone Inzaghi?
"C'era e c'è, questi rapporti non si scordano. Ho vissuto 3 anni bellissimi con Simone Inzaghi, mi ha dato una seconda giovinezza. Mi sentivo importante a giocare tutte le partite dai 33 ai 36 anni. A Udine però, quando mi ha tolto dopo 32 minuti pensai: 'Magari ho trovato un altro che si comporterà male con me'. Invece non sapevo questa storia degli ammoniti, che lui li cambia dopo ogni giallo. Nessuno me lo aveva spiegato. Per me è stato un allenatore, un padre, un amico, uno con cui puoi parlare di tutto. Parlavo di tutto, però sapendo che c'era un limite da non sorpassare mai. Ho solo bei ricordi con lui, se lo rivedrò nei prossimi anni lo riabbraccerò. Gli ho mandato un messaggio quando è andato in Arabia perché è stato importante per l'Inter".
Quel chiacchiericcio sul suo addio vi ha disturbati in finale di stagione?
"Secondo me la gente parlava più del fatto che lui potesse andare via che del fatto che fossimo arrivati in finale di Champions. Magari ci ha un po' disturbato perché pensi: 'Ma scusate, stiamo per giocare una finale di Champions e voi parlate di altro'".
Prevale l'orgoglio o il rammarico per la scorsa stagione?
"Dalla prima giornata non puoi arrivare alla finale di Champions senza fare niente. C'è orgoglio per il percorso fatto che non è stato facile. C'è pure il rimpianto che dopo una stagione di 9 mesi non riesci a vincere qualcosa. Siamo abituati a vincere trofei e non siamo riusciti a vincerne nessuno".
Chivu dati alla mano ti sta facendo giocare un po' meno, ma ne parli solo bene.
"Non posso dimenticare che ho 36 anni e che fra poco ne avrò 37. Voglio aiutare la squadra, però devo anche capire le scelte dell'allenatore. Sono pronto ad aiutare la squadra magari facendo una partita a settimana, non tutti. Se ne avessi avuti 23 o 24 di anni, magari l'avrei affrontata in modo diverso. Vedo un allenatore che vuole crescere, imparare ogni giorno e che per me ha un grande futuro".
Ci parli delle finali che hai giocato in carriera?
"La prima nel 2017 a Stoccolma in United-Ajax. C'era una tensione incredibile: se vinci sei il top, se perdi sei un flop. Vincemmo, fui felicissimo. Due anni dopo avevo la finale a Baku. Non ho giocato per motivi di rapporti diplomatici fra Armenia e Baku. Rimane un grande rimpianto, perdemmo 4-1 in Arsenal-Chelsea. Sulla finale di Tirana con la Roma giocai solo 17 minuti per l'infortunio. Avevo già un infortunio, ero vicino a rientrare con la squadra ed ebbi una ricaduta il giorno prima di rientrare in gruppo. Mancava una settimana alla finale. Dissi a Mourinho: 'Mettimi titolare, faccio quello che posso e se non ce la faccio mi togli'. Altrimenti inserendomi nel finale rischiava di bruciare un cambio per niente. Mi ha detto che andava bene, ma sono uscito dopo 17 minuti. Sulle due finali con l'Inter, a Istanbul dicevano che dovevamo perdere 3-0 contro un City più forte. Abbiamo fatto vedere che si sbagliavano, anche se purtroppo l'abbiamo persa, ma ce la siamo giocata. Non avevamo tanta tensione forse prima della partita proprio per questo. A Monaco invece magari, ma questo è il mio pensiero, dopo aver fatto quattro partite incredibili contro Bayern e Barcellona abbiamo pensato di poterlo fare anche con il PSG e abbiamo sbagliato qualcosa".
Si parla della possibilità che in futuro tu possa diventare Presidente dell'Armenia.
"Non ci sto ancora pensando, non so ancora quanto giocherò. Ci penso ogni giorno: andare avanti o fermarmi? Non voglio avere rimpianti nella mia carriera. Voglio capire cosa fare, non ho ancora deciso. Mai dire mai anche al fare l'allenatore, anche se ora è più no che sì. Per quanto riguarda il fatto di diventare Presidente in Armenia, ancora non ci sto pensando".
