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Il Marocco ha scritto la storia. Regragui, dalla panchina, vive il sogno di un Paese di grande tradizione calcistica

Il Marocco ha scritto la storia. Regragui, dalla panchina, vive il sogno di un Paese di grande tradizione calcisticaTUTTO mercato WEB
mercoledì 14 dicembre 2022, 00:00Editoriale
di Carlo Pizzigoni
Giornalista, scrittore, autore. Quattro libri, tanti viaggi. Tutti di Calcio. Su Twitter è @pizzigo. Su Twitch con @lafieradelcalcio

C'ero anch'io. Le tribune dello stadio di Rades vibravano. Attorno un’atmosfera di festa. Le lacrime di gioia di tanti tunisini, in campo e sulle tribune erano quelle per una vittoria insperata. Un uomo, invece, piangeva per il dolore: raggomitolato in campo, la faccia a terra. Io guardavo solo lui. Nourredine Naybet è stato un centrale difensivo straordinario, che oggi definiremmo moderno, un simbolo di quel Deportivo La Coruna, il Super Depor di Irureta che era riuscito a spezzare il dominio delle solite note e aveva vinto il suo primo, e unico, campionato spagnolo davanti al Barcellona di Van Gaal e al Valencia di Hector Cuper. Un sogno. Che Naybet voleva bissare, quattro anni dopo, portando la sua nazionale, quella marocchina, al trionfo in Coppa d’Africa, trofeo che i Leoni dell’Atlante hanno vinto solamente una volta, nel lontano 1976.

È Nourredine Naybet l’uomo che, sconsolato, piange al centro del campo. È arrivato il triplice fischio, e la Tunisia, una squadra che ha mostrato poco gioco e molto coraggio, con Roger Lemerre in panchina ha vinto la Coppa d’Africa contro una squadra che poteva contare anche su giocatori come Maroune Chamakh, classe da vendere (certifica Arsene Wenger) e Youssef Mokhtari, autore dell’inutile gol del momentaneo pareggio prima del 2-1 del 90’.

Sono molti i giocatori marocchini sdraiati a terra. C’è anche il terzino destro che, cresciuto in Francia, ha accettato di difendere i colori della nazionale dove sono nati i suoi genitori. Si chiama Walid Regragui. Oggi, quell’uomo, giocatore di sistema, valido gregario, una vita a correre e faticare per un contratto, è diventato il simbolo di una nazione. Adesso c’è lui in panchina, e ha cambiato per sempre la storia di quella Nazionale che aveva accettato di onorare al principio del nuovo secolo e dove ha non solo chiuso la carriera di calciatore dopo svariati anni in Ligue 1, ma soprattutto iniziato quella di tecnico.
Regragui siede sulla panchina del Marocco da pochi mesi, ma con pieno merito visto che col Wydad CAsablanca aveva appena vinto la Champions League africana battendo il gigante Al Ahly. La Federazione marocchina, stufa delle continue discussioni tra Vahid Halilhodzic e diversi giocatori, aveva deciso di mettere alla porta il CT che aveva portato la Nazionale al Mondiale, dopo la facile vittoria contro il Congo nel play-off del continente africano (ritorno a Casablanca, largo 4-1 con doppietta di Ounahi e gol di Hakimi). L'ambiente poco sereno nel gruppo aveva indotto una serie di riflessioni e quindi di colloqui con diversi tecnici europei e sudamericani. Poi, invece la scelta di Regragui, per ripetere il modello Cissé-Senegal, un modello vincente e credibile, modello che ingloba tanti giocatori della sterminata diaspora marocchina, convinti ad accettare la nazionale africana dai buoni uffici della Federazione. Il neo CT ha convinto prontamente Ziyech a tornare a giocare per il Marocco (con Vahid non correva buon sangue, tanto che saltò la Coppa d’Africa di inizio anno) e, soprattutto, convinto il resto della bontà del progetto, della possibilità di arrivare a qualcosa di insperato. Ecco, non così grande: la semifinale Mondiale.
Un traguardo che sarebbe ingiusto non ascrivere anche al lavoro di Halilhodzic, che dal 2019 sta plasmando tatticamente questo gruppo. Mancava probabilmente, oltre alla qualità dei “reprobi” Ziyech e Mazraoui, uno scatto mentale, di convinzione. L’altro giorno ho incontrato il genio di Juanma Lillo, una delle grandi menti calcistiche di questi anni, ex assistente di Guardiola al Man City, che mi ha detto: “Il segreto della nazionale marocchina? Gli occhi dei giocatori”. Quegli occhi che hanno spinto un gruppo a credere in un sogno, a volerlo maggiormente di Spagna e Portogallo, eliminate entrambe contro pronostico.

Il Marocco, Paese di profonda cultura calcistica, che compare sulle mappe di Spagna e d’Europa grazie al mitologico Larbi Ben Barek, cannoniere dell’Atletico Madrid degli anni Cinquanta. Atleti richiamato in queste ore per la celebrazione cholista delle ultime gare del Marocco in questo Mondiale, nonostante da sempre la squadra marocchina sia stata protagonista di un calcio di proposta e qualità come si chi ricorda l’ottavo di finale di Messico 1986, risolto da un gol di Matthaeus nel finale. “Avrebbe meritato di più il Marocco”, si legge nei giornali di quel tempo, come in quelli del 2004, quella del pianto di Naybet. Oggi si è ripreso tutto, e in una Doha ricoperta di bandiere rossa con pentagramma verde, sogna ad occhi aperti. Sa che ha già fatto la storia.

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