Menu Serie ASerie BSerie CCalcio EsteroFormazioniCalendariScommessePronostici
Eventi LiveCalciomercato H24MobileNetworkRedazioneContatti
Canali Serie A atalantabolognacagliaricomocremonesefiorentinagenoahellas veronainterjuventuslazioleccemilannapoliparmapisaromasassuolotorinoudinese
Canali altre squadre ascoliavellinobaribeneventobresciacasertanacesenafrosinonelatinalivornonocerinapalermoperugiapescarapordenonepotenzaregginasalernitanasampdoriasassuoloturris
Altri canali mondiale per clubserie bserie cchampions leaguefantacalciopodcaststatistiche
Esclusiva TMW

Dorgu, Umtiti, Camarda, Tiago Gabriel e il nuovo stadio: gli 8 anni al Lecce di Sticchi Damiani

Dorgu, Umtiti, Camarda, Tiago Gabriel e il nuovo stadio: gli 8 anni al Lecce di Sticchi DamianiTUTTO mercato WEB
Giacomo Iacobellis
Oggi alle 10:00Serie A
Giacomo Iacobellis
fonte Con la collaborazione di Niccolò Ceccarini

Otto anni possono sembrare un tempo ordinario, quasi banale, nella vita di tutti i giorni. Nel calcio, invece, sono abbastanza per segnare un’epoca: per vedere città cambiare pelle, squadre precipitare o rinascere, destini ribaltarsi in una stagione o anche solo in una domenica. A Lecce questi anni hanno avuto il ritmo di un romanzo: capitoli intensi, svolte inattese, personaggi che diventano simboli, paure che si trasformano in slanci, e una comunità che ha ritrovato nel club un motivo per riconoscersi. Quando nel dicembre 2017 Saverio Sticchi Damiani prese in mano quel Lecce smarrito, incagliato in una Lega Pro senza uscita, non c’erano promesse da fare né prospettive da vendere. C’era solo un atto di fede, il tipo di decisione che non si spiega con numeri, business plan o convenienze. C’erano una città ferita, uno stadio consumato, una reputazione da ricostruire e un calcio da riaccendere. E c’era lui, un Presidente guidato dall’amore più che dall’ambizione, pronto a prendersi sulle spalle un destino incerto.

Otto anni dopo, il Lecce è un club diverso: solido, rispettato, capace di salvarsi in Serie A per tre volte consecutive, così come di portare un talento del suo settore giovanile fino al Manchester United divenendo un modello per tanti. il Presidente Sticchi Damiani, intervistato in esclusiva da TuttoMercatoWeb.com, ce l’ha raccontato senza compiacersi, con la calma di chi ha vissuto ogni passo come una responsabilità, ben consapevole dei mezzi a disposizione della sua piazza, ma al contempo guidato da un amore così profondo per i suoi colori da gettare - anno dopo anno - il cuore oltre l’ostacolo.

Presidente Sticchi Damiani, a dicembre 2025 festeggia gli otto anni di presidenza a Lecce: che anni sono stati per lei?
“Sono stati otto anni molto intensi, perché è accaduto un po’ di tutto. Quando ho preso il Lecce era in Lega Pro, in un momento di grande difficoltà non solo sportiva ma anche reputazionale. La squadra era in Serie C per un illecito sportivo, lo stadio era fatiscente, i tifosi erano pochi e c’era il rischio concreto di non farcela anche dal punto di vista economico. Non c’era alcun beneficio immediato: era un’operazione antieconomica. Io però l’ho fatto per passione, per il cuore. Sono leccese, salentino, tifoso del Lecce. Ho coinvolto alcuni amici, io come socio di maggioranza, e da lì è partito un viaggio che non immaginavo potesse essere così esaltante”.

Quali sono stati il momento più bello e quello più complicato di questo lungo percorso?
“È difficile fare una gerarchia. La promozione dalla C alla B è stata senza dubbio liberatoria: non accettavo la mia città in Lega Pro. Una piazza da un milione di abitanti e 400 mila tifosi nel mondo non poteva restare laggiù. Poi le promozioni in Serie A, le tre salvezze consecutive - l’ultima, la terza consecutiva, ha segnato un record sportivo indimenticabile nella nostra storia - e lo scudetto della Primavera: momenti veramente speciali. Il più brutto invece è stato uno e uno solo: la scomparsa del nostro fisioterapista, Graziano Fiorita, avvenuta durante un ritiro pre-gara. Un dolore enorme”.

Tra gli allenatori che si sono alternati in questi anni, ce n’è uno al quale è più legato?
“Oggi ho un rapporto bellissimo con Di Francesco, persona seria, perbene, mai una parola fuori posto, nonché un allenatore molto preparato, sta facendo crescere tutti i giocatori in rosa. Tornando indietro, cito invece Marco Giampaolo: qualità umana, intelligenza, sensibilità e un’onestà intellettuale rara nel calcio. Ma potrei citarli tutti: ogni rapporto coi miei tecnici si è basato in primis sulla lealtà”.

Parliamo del Direttore Corvino: qual è la chiave del vostro successo?
“Pantaleo è una persona che ho voluto fortemente. Ci conosciamo da una vita anche oltre il calcio. Dopo la retrocessione in B in pieno Covid avevo bisogno di qualcuno di cui fidarmi. Gli chiesi prima di tutto di rimettere in sicurezza il club, e poi - obiettivo subordinato al precedente - pure di raggiungere risultati sportivi. Abbiamo ottenuto entrambi e siamo molto felici. Lavorare con lui è facile perché condividiamo la cultura del lavoro: per competere dobbiamo lavorare venti ore al giorno. Nel calcio è sempre più facile che accada l’ipotesi peggiore, quella più amara, proprio questa consapevolezza ci tiene lontani da ogni analisi superficiale”.

C’è qualche aneddoto di mercato legato a Corvino che ricorda con più gusto?
“Ce ne sono tantissimi. Una volta Pantaleo mi disse: ‘Presidente, che ne pensi di Umtiti?’. Io gli chiesi se fosse un omonimo… E lui: ‘No, è proprio lui’. Non c’erano trucchi. Ci sono stati anche tanti calciatori che alla fine non abbiamo tesserato. Ricordo per esempio quando mandammo via un giocatore già arrivato in aeroporto e fotografato con le classiche foto di rito, perché nella prima chiacchierata aveva avuto due o tre uscite infelici. Tutto questo, mentre indossava due Rolex per polso. Capimmo che non era il profilo giusto per il nostro Lecce. Oppure un altro non lo prendemmo perché aveva troppi tatuaggi. E poi ci sono le tantissime operazioni concluse in silenzio, annunciate sui nostri canali ufficiali senza che nessuno sapesse nulla”.

Qual è l’operazione di mercato che l’ha resa più orgoglioso?
“Umtiti è stata un’operazione straordinaria, un campione del mondo che ha dato tantissimo al nostro club, ma quella di Dorgu rappresenta il modello Lecce a 360°: preso dal settore giovanile di una squadra danese, ha fatto un anno in Primavera e mezza stagione in Serie A, per poi essere ceduto al Manchester United per 38 milioni. Un simbolo della qualità del nostro club. E fare mercato con il Manchester United è ulteriore motivo d’orgoglio”.

Alcune cessioni negli ultimi anni hanno toccato il cuore dei tifosi, come quelle di Hjulmand, Strefezza e Baschirotto. Come le ricorda a livello umano?
“Diciamo che Hjulmand era un giovane che aveva fatto benissimo, e queste decisioni non sono mai semplici. Umanamente le più dolorose sono state Strefezza, che era nel cuore della città, e Baschirotto. Entrambe le operazioni, però, avevano una loro logica: Strefezza voleva cogliere la grande chance, anche economica, offerta dal Como e meritava di essere accontentato per quanto fatto con noi, e Baschirotto ha avuto l’opportunità di firmare un contratto lungo con la Cremonese. Inoltre, la sua cessione ha dato spazio a Tiago Gabriel, che sta facendo benissimo quest’anno, nonostante sia un fine 2004, praticamente un 2005”.

Tiago Gabriel potrebbe essere uno dei nuovi Dorgu del Lecce? Si parla di Juventus sulle sue tracce…
“In questo avvio di stagione Tiago ha avuto numeri impressionanti: palloni recuperati, contrasti vinti, senza mai un cartellino giallo. È efficace grazie alle sue qualità tecniche e fisiche, e questo fa capire che, per la sua età, ha un rendimento fuori dal normale. È un ragazzo da seguire nel suo processo di crescita, senza fretta, perché ha ancora tanto da imparare. Juventus? È prematuro parlarne, ma sicuramente posso dire che ha suscitato l’interesse di tanti”.

Il Lecce è spesso citato per avere uno dei monte ingaggi più bassi della Serie A. Cosa significa gestire una società con queste caratteristiche?
“Avere un monte ingaggi tra i più bassi significa fare delle scelte precise, spesso rischiose, essere rigorosi e coerenti con la nostra filosofia. Non possiamo competere con società che spendono cifre molto superiori, quindi puntiamo su equilibrio, giovani di prospettiva e operazioni intelligenti sul mercato. Il fatto che fino ad ora siamo riusciti a salvarci in Serie A con questa struttura economica è motivo di orgoglio e dimostra che un modello virtuoso e sostenibile funziona anche in un campionato difficile come il nostro, anche se tra enormi difficoltà. Ogni nostra salvezza in questi anni è stata figlia di due fattori, non solo aver sbagliato il meno possibile, ma anche aver visto sbagliare chi ha più mezzi di noi. Solo la prima delle due condizioni non è sufficiente per salvarsi, tanto è grande il divario economico ai nastri di partenza".

Se non avesse preso il Lecce, questo sarebbe stato un grande rimpianto?
“In realtà vi dico che mai e poi mai avrei pensato di diventare presidente del Lecce, l’ho fatto perché la società era a un passo dal fallimento e volevo dare un contributo alla mia terra. Non so se avrei avuto rimpianti se non fossi intervenuto. Quello che ho vissuto in questi otto anni mi ha regalato pagine indimenticabili: non solo i risultati sportivi, ma soprattutto le persone incontrate, le storie dei tifosi, il loro affetto e la loro passione”.

E lo stadio?
“Era un cruccio: i tifosi si bagnavano, era scomodo. Grazie ai giochi del Mediterraneo 2026 stiamo facendo un restyling graduale senza ridurre la capienza. Una copertura integrale sarà montata alla fine del campionato e a ottobre 2026, se tutto andrà come previsto, il rinnovamento del Via del Mare sarà completo. E insieme al centro sportivo, abbiamo realizzato due grandi obiettivi, con fatti concreti, non parole”.

Per il futuro, c’è un fioretto per il suo Lecce?
“Il mio fioretto è sempre stato questo: impegnarmi al massimo insieme al mio staff, non mi sono mai risparmiato. Non faccio calcio per business, ho investito risorse personali per il territorio e non ho mai guadagnato nulla. Continuerò finché avrò forze e soprattutto sarò utile alla causa. Poi, se arriverà qualcuno che ha i mezzi per fare meglio, sarò il primo a sostenerlo”.

C’è qualcosa che non rifarebbe in questi otto anni?
“Rifarei molte cose. Forse ho dato troppo spazio a qualcuno che non lo meritava, ma fa parte della vita. Il percorso è pieno di soddisfazioni, è difficile trovare cose che non sono andate per il verso giusto”.

Che idea si è fatto di questa Serie A?
“Quest’anno fare gol è sempre più difficile, soprattutto per squadre medio-piccole. Si gioca molto sulla prestanza fisica, la qualità tecnica tende a diminuire”.

Il Lecce punta sui giovani: avete preso un classe 2008 per fargli fare l’attaccante titolare.
“Camarda è un 2008 su cui abbiamo scommesso seriamente, l’abbiamo preso come protagonista nonostante l’età perché crediamo nelle sue qualità, nel suo potenziale e nel suo percorso. Penso che dare maggiore spazio ai giovani italiani, magari con incentivi economici per chi li fa giocare, sarebbe utile per le squadre della Serie A e per la nazionale. Bisogna avere coraggio nel valorizzare i nostri talenti”.

Presidente, qual è infine il suo sogno nel cassetto?
“Il mio sogno da tifoso è lo stesso dei tifosi del Lecce. Nel mio cuore sogno spesso scenari che definirei irrazionali, ma ovviamente gioisco dei nostri straordinari scudetti: le clamorose salvezze raggiunte in questi anni. Sono consapevole che non si può vincere lo scudetto ogni anno, ma mi piacerebbe continuare a scrivere la storia restando in A per il quarto anno consecutivo”.

© Riproduzione riservata
Primo piano
TMW Radio Sport
Serie A
Serie B
Serie C
Pronostici
Calcio femminile