Marchetti racconta la depressione: "A Cagliari non fui capito. A Roma diventati immortali"
Intervistato dall'edizione odierna della Gazzetta dello Sport, Federico Marchetti ha ripercorso il suo periodo più buio: "Stavo male, non ero nello stato mentale adatto per scendere in campo. Lo dissi al preparatore dei portieri. 'Non me la sento'. Non fu capito. Giocavo a Cagliari e la società insabbiò tutto: venne solamente comunicato che ero infortunato. In realtà avrei avuto bisogno di sostegno, non di essere lasciato solo. La depressione è una malattia, va trattata con serietà".
I problemi a Cagliari ci furono anche con Massimo Cellino: "Ho subìto un mobbing camuffato. Mi allenavo con la prima squadra, ma non venivo mai convocato. Tornavo dal Mondiale in Sudafrica, in cui ho fatto pure due presenze, e mi fu addossata la colpa di aver detto che mi sarebbe piaciuto giocare la Champions. Tutto qui". Alla Lazio invece furono anni "magici" racconta: "Ancora oggi capita per strada di incontrare chi mi ferma e racconta ai figli: 'Lui era il portiere della finale del 2013'. Siamo diventati immortali con quella vittoria".
Al Genoa però i problemi si ripresentarono con Blessin: "Prendeva i giocatori e li insultava. Odiava gli italiani. Calafiori lo massacrava, gli diceva che era un 'italian bastard'. Soffriva me, Criscito e Behrami. Infatti, non è un caso che Pandev scelse di accettare il Parma in Serei B pur di scappare".











