Baggio: "Con Sacchi venuto fuori ego inutile. A Trapattoni non ho mai più parlato"

Roberto Baggio è stato ospite del podcast 'Passa dal BSMT' per ripercorrere la propria carriera, tra aneddoti e racconti. Queste le sue parole, iniziando dal ritiro: "Il campo è stato qualcosa di meraviglioso ma è importante abituarsi anche a prendere consapevolezza di non poterci correre più sopra. Evito di riguardare l'ultima partita giocata a San Siro con il Brescia, faccio fatica a guardarmi perché mi viene un po' di nostalgia. Penso sia comunque una cosa normale. Ho la fortuna di non avere rimpianti a parte il rigore a Pasadina. Ho fatto tutto quello che potevo fare per quel che mi era successo. Da questo punto di vista sono sereno. Certo, mi sarebbe piaciuto giocare ancora ma non ce la facevo più. Smettere fu quasi una liberazione".
Sull'infortunio di inizio carriera al ginocchio.
"Quello era un periodo che infortuni così ti facevano smettere di giocare. Marangon, Briaschi, Smuda, furono alcuni ex calciatori di Serie A che hanno dovuto smettere per quel tipo di infortunio. Avevo da poco compiuto 18 anni e mi ha colpito nel momento più bello, in un'età in cui non senti nemmeno le pressioni perché tutto quello che vuoi è giocare a calcio. In ospedale mi dissero che avevo il crociato completamente rotto e diversi problemi a menisco e capsula. La prima informazione che chiesi al medico era sulle tempistiche. Lui mi disse almeno un anno. Lì fu tragico. Andai in Francia e mi ricostruirono il crociato con il vasto mediale, senza protesi o agenti esterni. In pratica mi asportarono una parte di muscolo e lo usarono per il crociato, per quello in carriera non ebbi più stabilità fisica. In quel periodo pensai anche di smettere, mi aiutò il buddhismo".
Sulla Fiorentina.
"Nonostante l'infortunio vollero lo stesso prendermi e io sarò sempre grato ai viola e a tutta Firenze. Lì ho fatto due anni senza giocare quasi ma la gente mi voleva bene lo stesso. Andavo a prendere i soldi ma non avevo il coraggio di mettere i soldi in banca perché mi sentivo in colpa. Mi vergognavo. L'addio? Io non volevo andarmene ma non perché rifiutavo la Juve, ma perché non volevo andarmene da Firenze. io mi sentivo in debito con le persone. Dopo la mia cessione ci fu la preparazione dei Mondiali di Italia '90 a Coverciano e le persone erano avvelenate. Ci furono incidenti per tre giorni e quella cosa mi toccò molto. Il loro amore si scatenò in un inferno. Il lancio della sciarpa? Si parla tanto del calcio pieno di mercenari e poi quando c'è uno che dimostra affetto subito viene etichettato. Quel gesto a me venne spontaneo. Era il minimo che potessi fare. Non era una mancanza di rispetto alla Juve, era un dire grazie a Firenze. Si volle creare un caso sul nulla, come quando mi accusarono di essermi tirato indietro sul rigore contro i viola quando in realtà era già stato deciso da Maifredi in settimana che i rigori al Franchi li avrebbe battuti De Agostini".
Sul Pallone d'Oro.
"Eravamo a Coverciano a fare uno stage con Sacchi. Poco prima di Natale mi dissero che avrei potuto vincerlo. Fui molto scettico ma alla fine me lo diedero davvero".
Sul numero 10.
"Una volta c'erano undici numeri e quindi era facile avere un certo numero se eri un attaccante. Era un numero che piaceva ma avrei giocato con qualsiasi altro numero. Oggi forse è ancor più un simbolo".
Sulla Juventus.
"Mi volle l'Avvocato Agnelli, avevamo un bel rapporto. Mi chiamava spesso alle 6:00 di mattina per chiedermi come stessi, com'era andata la partita. Era molto presente",
Su Sacchi.
"Sacchi è stato un autentico innovatore del calcio italiano in quegli anni. Abbiamo raggiunto grandi risultati, compresi al Mondiale degli USA. Purtroppo è venuto fuori un po' di ego da cui sono nate delle incomprensioni che hanno oscurato tutto il resto. Partiamo dal presupposto che io ho fatto ciò che ho fatto non da solo, ma perché attorno a me avevo una squadra con identità. Non voglio avere meriti che non ho. Dico solo che avrei voluto un po' di chiarezza e sensibilità in più. io oggi comunque ad Arrigo auguro il meglio dalla vita".
Sulla finale dei Mondiali del '94.
"Io ho sempre avuto il sogno di giocare una finale Mondiale contro il Brasile. Quello era il mio obiettivo. Forse è stato questo a farmi superare tutti gli infortuni. Il rigore mi ha reso leggendario? Ne avrei fatto a meno (ride, ndr). Fu una delusione enorme perché ero venuto meno ai miei compagni, all'allenatore e a tutta la gente a casa. Non doveva succedere, se avessi avuto un badile mi sarei sotterrato. Lo risogno ancora la notte.".
Quanto fu difficile riprendere a settembre?
"Non fu facile, era un macigno che avevo in testa. I primi giorni sono stati durissimi, poi con il tempo giochi, ti alleni, allora magari ti passa. Io ai Mondiali sono sempre stato eliminato ai rigori. La vittoria del 2006 vinta ai rigori? Che culo, almeno una volta…(ride, ndr)".
Su Lippi.
"Pensava che non fossi adatto all'Inter. Io mi allenavo e facevo il mio. Probabilmente cercava un appiglio. Io con il tempo mi sono accorto che davo fastidio perché avevo tutta la gente dalla mia parte. Quando una squadra vinceva e andava bene si parlava della 'Squadra di Baggio' e magari questo infastidiva i grandi allenatori. Non vedo altri motivi perché non ho mai avuto problemi con i compagni di squadra".
Con chi avrebbe voluto giocare oggi?
"Sicuramente con Guardiola, poi con De Zerbi e forse anche con Simone Inzaghi. Sono allenatori che fanno giocare le proprie squadre e fanno divertire le persone".
Cosa pensa sul VAR?
"È uno strumento importante. Toglie dubbi e polemiche inutile".
Su Mazzone.
"Era una persona diretta, schietta, pura. Avevo grande stima per lui. Avrei dato la vita. Ci confrontavamo spesso. Il periodo a Brescia? Io volevo finire la carriera al Vicenza ma non mi chiamarono. Arrivò la chiamata di Carletto e accettai perché io volevo giocare e andare ai Mondiali nel 2002. L'esclusione di Trapattoni fatico ancora a darle una spiegazione. Tornai dall'infortunio ma stavo bene. Lui mi disse che non mi avrebbe portato perché aveva paura che mi sarei fatto male. Gli dissi di non preoccuparsi ma era una scusa. Non ci ho mai più parlato".
